La parola dei lettori è tutt’altro che secondaria. Ecco perchè ci piaceva raccogliere le vostre opinioni sull’anno che sta terminando, chiedendovi (sulle nostre pagine Facebook e Instagram) di contribuire con una vostra personale classifica dei migliori dischi del 2020. Alla luce di quanto ricevuto, assegnando dei punti precisi in base alle vostre posizioni, ecco il risultato che ne è scaturito. Grazie a tutti per la numerosa partecipazione!

Guarda la classifica della redazione di IFB de I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2021

#10) CLUSTERSUN
Avalanche
[Icy Cold Records]
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Un mondo di ombre ostili, rese ancora più malevole, morbose e minacciose dall’ultimo anno e mezzo trascorso tra lockdown ed impossibili quarantene; un mondo che ha la voce dei migranti, dei rifugiati, degli emarginati, delle guerre che si perdono in un passato remoto, crudele e rabbioso, che continua, sprezzante, a reclamare il suo prezzo di carne, di lacrime e di sangue
(Michele Brigante Sanseverino)

#9) THE CORAL
Coral Island
[Run On / Modern Sky]
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Pieno di ricordi dei bei tempi andati, questo album è ambizioso e gradevole e recupera suoni dai sapori nostalgici: un viaggio molto british nel passato che risulta davvero interessante e ricco di spunti e merita di essere percorso nella sua interezza.
(Antonio Paolo Zucchelli)

#8) BLACK COUNTRY, NEW ROAD
For The First Time
[Ninja Tune]
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Sin dai primi singoli questa band ha destato in me molta curiosità : quattro ragazzi e tre ragazze che sembravano essere piombati da chissà  quale angolo di un pianeta sconosciuto! E’ bastato poco in fondo ai giovani Black Country, New Road per ammaliarci e conquistarci. Il loro è un sound multiforme, eterogeneo, e già  in possesso di una forte personalità . Il termine post-rock torna buono in questo caso per riassumere le tante influenze e suggestioni qui ottimamente miscelate. Rivelazione dell’anno. (Gianni Gardon)

#7) GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR
G_d’s Pee AT STATE’S END!
[Constellation Records]
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L’album è una sorta di ultimatum sonoro da parte di una band che è stata sempre coerente con le proprie idee: pochissime interviste, nessuna scorciatoia, zero spazio alla mondanità  o alle apparenze, persino poche testimonianze fotografiche, ma una volontà  precisa, concreta e determinata a rioccupare gli spazi perduti, verso i quali non sono più possibili dialoghi, accordi o compromessi, ma vi è l’urgenza ““ e nel disco si respira ““ di riappropriarsene in maniera veemente, immediata e vigorosa, perchè il tempo a disposizione di questo mondo e dei suoi attuali governanti è agli sgoccioli.
(Michele Brigante Sanseverino)

#6) MOGWAI
As the Love Continues
[Rock Action]
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L’impronta tipica e coerente dei Mogwai risulta più che evidente per tutta la durata di “As the Love Continues”, tuttavia, se si ascolta il disco un po’ più attentamente, si possono notare forme di una musicalità  nuova ed inattesa. Forme che riescono a legarsi ed armonizzarsi perfettamente all’interno della discografia della band, proprio come farebbero i tanti pezzi di un unico, formidabile, puzzle.
(Madeira Scauri)

#5) PINHDAR
Parallel
[Fruits de Mer]
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Dal lockdown è nato un disco che si fa portavoce di ansie, preoccupazini ma anche speranze, ombre e luci che si rincorrono, in un gioco tanto sinuoso e morbido quanto claustrofobico e nervoso. C’è il rischio di smarrire la via, ma la voce di Cecilia è li, guida e incanto, sirena che non ci porta alla rovina ma alla salvezza. Un disco che non va solo ascoltato, ma va realmente vissuto, perchè le emozioni hanno bisogno di essere colte e fatte nostre, per farle sviluppare al meglio.
(Riccardo Cavrioli)

#4) VIAGRA BOYS
Welfare Jazz
[Year0001]
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In quaranta minuti i Viagra Boys ci mostrano tutto il loro eclettismo, portandoci come dono per il nuovo anno un album vivace, diverso, solido e spesso imprevedibile e fuori dagli schemi: vederli su un palco (non appena sarà  finita la pandemia) sarà  senza dubbio un’esperienza da provare ancora una volta, ma per il momento gustiamoci questo LP, da ascoltare più e più volte.
(Antonio Paolo Zucchelli)

#3) DRY CLEANING
New Long Leg
[4AD]
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Tutti pazzi per i Dry Cleaning, volendo parafrasare il titolo di un celebre film, ancorchè in tal caso non vi è nulla di comico o ironico a scandire le gesta dell’esordio dei quattro londinesi ma, probabilmente, qualcosa che a tratti potrebbe essere irriverente e proviene dallo spokenword della talentuosa scrittrice e frontwoman, Florence Shaw.
(Alessandro Tartarino)

#2) NICK CAVE & WARREN ELLIS
Carnage

[Goliath Records]
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“Carnage” è un disco non violento, sperimentale senza estremismi, decisamente ipnotico, carnale e riflessivo. Nick Cave fine osservatore e poeta raggiunge livelli di sofferenza blues e afferra tenaci leggerezze melodiche trovando provvisoria pace tra ricordi, viaggi mentali, progetti.
(Valentina Natale)

#1) ARAB STRAP
As Days Get Dark
[Rock Action]
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“As Days Get Dark” è un disco che sprigiona una forza evidente ed una certa vibrazione che attraversa tutto l’album e che s’innesta nell’ascoltatore come un brivido lungo la colonna vertebrale.
Il cantato-parlato tipico dello spoken-word di Moffat scorre sopra un tappeto denso e ridondante. Le parole tagliano e si infilzano nelle orecchie dell’ascoltatore spingendo forte fino alla corteccia cerebrale visioni desolate, crude e disincantate. Il disegno che si staglia è quello di una vita fragile sull’orlo del baratro consapevole della propria condizione precaria e priva di significato.
La fucina del sound produce un manto basso e pesante con delle nervature free jazz, delle increspature new wave e delle aperture disco dance.
(Federico Guarducci)

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Credit grafica: Luca Morello (Scismatica)