Al primo ascolto fai fatica a capire. Al secondo inizi ad entrare di più. Al terzo, e successivi, non riesci a smettere di amarlo. Siamo sempre stati consapevoli del grande talento, della grande abilità dei Vampire Weekend. Ma con questo album possiamo veramente definirli ad un passo da Dio.

Credit: Michael Schmelling

I tempi sono cambiati e così anche la loro musica. “Only God Was Above Us” riprende il titolo di un articolo di un quotidiano newyorkese su un disastro aereo del 1988. Tale articolo, schiaffato in prima pagina, è tornato a essere in bella vista dopo 36 anni sulla cover di questo album.

Una metafora cruda di una New York diversa. I quattro ragazzini conosciuti con sonorità indie-rock, ma mai banali e mai scontate, ritornano sui loro passi raccontando la loro città senza fare sconti a nessuno. In tutto questo, gli arrangiamenti e l’intera produzione si basa sul caotico e sulla maestria di forma.

Prendiamo per esempio “Classical”. Sonorità pop senza ombra di dubbio, ma che vanno a contrapporsi ad un testo brutale “Untrue, unkind and unnatural/How the cruel, with time, becomes classical”. Una tromba che esplode e sferza le sue note, tranciando quel riff di chitarra iniziale e continuo tipico della band.

Questi testi così dark, così lontani forse da quelli che ci ricordiamo (e basta tornare indietro di poco, al 2019) sono un po’ distribuiti ovunque in questo disco. Basti pensare alla traccia d’apertura, “Ice Cream Piano”, che si apre con un “fuck the world” potente. Una ballad che ci spiazza proprio dalla metà in poi, con questa esplosione caratterizzata dal rullante della batteria che aumentà di velocità nel suono o semplicemente da quelle chitarre garage rock distorte e poco pulite.

“Prep-School Gangsters” ci ricorda molto i suoni a cui oramai ci siamo abituati. Un giro di chitarra continuo, un po’ alla Talking Heads, a cui si associa una batteria ritmata a mo’ di marcia e il falsetto di Ezra oramai inconfondibile che ci racconta di come quella volta gli hanno sbarrato la strada dei bulli, dei gangsters di scuola.

Il brano in chiusura, “Hope”, dalla durata di 8 minuti è quello che forse può essere il risultato finale delle 9 tracce precedenti. Si parla di perdono, di fare un passo indietro per saper lasciare andare. “I Hope You Let It Go” sentiamo spesso ripetuta durante la canzone, accompagnata da un pianoforte che ci ricorda di nuovo tantissimo il pop che facevano tempo addietro. Un piano che poi viene sovrastato da un’altra esplosione, ma che continua ad esserci.

Già con “Father of The Bride” ci eravamo immersi in un lavoro più strutturato e maturo. Con questo nuovo disco, invece, i Vampire Weekend fanno un passo ancora più avanti: unendo il loro pop sofisticato, la loro bravura strumentale con un racconto crudo di varie realtà vicine (e lontane) a loro riescono a raggiungere un ulteriore livello di consapevolezza musicale che li rende effettivamente più vicini a Dio di quanto sembri.