Torna sul mercato anche Phosphorescent, moniker dietro al quale si cela Matthew Houck, songwriter di Athens: album nuovo che arriva sei anni dopo l’ultimo in cassaforte “C’est la vie” e a quasi quindici anni da “Here’s to talking it easy”, probabilmente il suo disco più significativo tra i migliori di quel lontano 2010, ma anche il successivo “Muchacho” fece parlare di sé.

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Progetto che ha già compiuto i due decenni di carriera e, contando questa nuova fatica, sono ben otto (ai quali si aggiunge un EP e un live) i capitoli di questo lungo viaggio in un’America leggera e raffinata.

Si muove in solitaria, ma sempre accompagnato da fedelissimi al seguito, il suo è un folk tradizionale, contaminato con l’indie, tanto colorato e quei suoni caldi di strumenti analogici, che spopolavano prima di questa era digitale delle piattaforme, che ha reso tutto un pò glaciale e sintetico.

“Revelator”, registrato nel suo studio di Nashville, è, di fatto, un album scritto e concepito nel senso più classico del genere, seguendo, in maniera naturale, tutti i dogmi del caso, pieno di ballate molto personali e riflessive, quelle, per capirci, “da chitarra acustica davanti ad un falò estivo” o che partono da un canovaccio meno acustico, come per esempio “Fences”, dove suona dall’inizio alla fine una cassa dritta elettro in lontananza, ma che rimangono tali nella percezione.

La sostanza non cambia in tutti i nove episodi di questo ritorno, in campo una serie di suoni gentili, mai invadenti, sempre a supporto, accompagnando, in punta di piedi, un racconto confidenziale.

Non ci sono volutamente sussulti e la media dei brani è lineare, è un disco onesto, da songwriter navigato, dove le liriche hanno un certo peso, più che la melodia stessa, che arriva, come già detto, tradizionale e, comunque, sempre piacevole.

La classica colonna sonora per viaggi da tardo pomeriggio, affrontando un tramonto nella stagione che dall’inverno ritorna bella.

Difficile scegliere un brano che possa spiccare su altri, forse la poetica “A Moon Behind The Clouds”, con un refrain quasi in versione mantra, melodico e avvincente, o i quasi sette minuti della successiva “To get it right”, oppure la title track, che ha anticipato questo nuovo album già da un paio di mesi e che apre “Revelator”, romantica, dilatata e piena di arrangiamenti che si amalgamo sotto pelle.

Un disco, che per scelta, non aggiunge nulla alla lunga carriera di Houck, che ha optato di seguire le references primordiali della sua musica, quasi da confort zone, ma che sono anche il territorio e la materia sonora che conosce meglio e dove esprime al massimo il suo talento, giusto così.