
C’era una volta un paese spaccato in due, piegato da un passato impossibile da cancellare, mutilato nella carne e nello spirito da uno dei più grandi orrori mai concepiti. Un paese che, nell’eco lunga e colpevole del nazismo e della Seconda guerra mondiale, non poteva più permettersi di cantare con leggerezza. Doveva inventare nuovi suoni, nuove visioni, nuove rotte per uscire dal trauma, anche solo per sopravvivere. È proprio da queste macerie – culturali, morali, identitarie – che nasce una delle più vivaci scene musicali underground dell’Europa degli anni ‘70.
Una galassia sonora fatta di scintille, intuizioni e improvvisi salti nell’ignoto che la Cherry Red Records ha ora racchiuso in un box set monumentale: “Electric Junk – Deutsche Rock, Psych & Kosmiche 1970–1978″. Quattro CD per addentrarsi in un mondo parallelo, alieno e radicale, dove il rock si smaterializza e diventa cosmico, meccanico, futuribile.
Non aspettatevi, però, una specie di greatest hits del krautrock. No, questa raccolta non ha ambizioni enciclopediche – mancano molti protagonisti fondamentali di quella scena sterminata – ma è proprio nella sua parziale incompletezza che forse riesce a restituire meglio lo spirito di quegli anni vulcanici: anarchico, magmatico, sfuggente, irripetibile. Un mondo dove Can, Tangerine Dream, Popol Vuh e Faust non erano semplici band, ma cellule impazzite di un organismo in costante mutazione. Artisti che non volevano conquistare le classifiche di mezzo mondo ma sezionare il tempo, piegare il suono, riscrivere da zero le regole del gioco.
“Electric Junk” è un titolo programmatico: scarti elettrici, ruggine analogica, esperimenti buttati nel caos della Storia eppure ancora capaci di parlare al presente. Il viaggio parte da lì: dagli scantinati di Colonia, dai collettivi anarchici di Berlino Ovest, dalle comunità artistiche immerse nei boschi della Baviera. Un mondo in bianco e nero pronto a esplodere nei colori allucinati di una musica che fonde psichedelia, jazz, progressive, elettronica, rumorismo e istinto punk (prima ancora che il punk stesso esistesse). Musica che sa di LSD e di silicio, di filosofia orientale e fantascienza, di silenzi mistici e tamburi tribali. Un Big Bang teutonico da cui si dipaneranno infinite ramificazioni: dall’ambient alla new age, dal noise all’heavy metal, passando per tutta la musica elettronica contemporanea.
Questo box set è molto più di un’operazione nostalgia per appassionati di polverosi vinili: è un atto politico, una mappa stellare, una macchina del tempo. È un invito a perdersi – e ritrovarsi – in un altrove sonoro dove ogni regola viene disintegrata, dove la forma si scioglie nel sogno, dove il futuro, per un attimo, sembrava davvero possibile.
Per chi ama il rock degli anni ’70, ma anche per chi vuole capire da dove arrivano certe derive sonore di oggi, “Electric Junk” è un ascolto imprescindibile. Non troverete vecchie hit del passato, ma visioni ancora oggi vivide. Non troverete malinconia per i bei tempi andati, ma una strana e meravigliosa vertigine che tende al futuro. E allora basta parlare: abbracciate lo spirito della Kosmische Musik e buttatevi in questo breve ma intenso viaggio psichedelico composto da dieci tra le “tappe” più interessanti della raccolta:
GURU GURU
Electric Junk
“Electric Junk” dei Guru Guru è un brano anarchico e fuori controllo, un vortice sonoro che mescola hard rock e psichedelia spaziale con furia visionaria.
KARTHAGO
Why Don’t You Stop Buggin’ Me (Wave On)
Sono i Karthago di Berlino a proporci questo potentissimo mix fra funk, hard rock e psichedelia dominato da un organo fragoroso come una chitarra elettrica.
NOSFERATU
Highway
Un brano psych-hard rock oscuro e tenebroso come il personaggio che dà il nome al gruppo ma anche incredibilmente aggressivo e vivace, impreziosito da un organo Hammond che aggiunge sostanza a una base già di per sé assai ricca.
NINE DAYS WONDER
Moment
Un brano lungo, malinconico e pinkfloydiano nel quale tutto sembra ruotare attorno al fascino spaziale di un mellotron preso in prestito dai King Crimson. Un’affascinante ballad progressive interpretata dai Nine Days Wonder, un gruppo di base a Mannheim nel quale militavano anche musicisti austriaci, irlandesi e inglesi.
SILBERBART
Brain Brain
Un quarto d’ora di musica in continua evoluzione da parte dei Silberbart, una band originaria di Varel scioltasi poco dopo aver dato alle stampe un unico album (“4 Times Sound Razing” del 1971). Anche in questo caso l’influenza dei King Crimson è evidente ma, stranamente, si avvertono anche quegli elementi di rumorismo e quelle dissonanze che, qualche anno più tardi, avrebbero poi contraddistinto il noise rock.
TRIUMVIRAT
March To The Eternal City
Un ottimo esempio di progressive rock epico e sintetico da parte dei Triumvirat, un trio di Colonia al quale piaceva abbondare con il pianoforte e le tastiere. Un pezzo solenne, dai toni a metà strada tra il mistico e il malinconico, nel quale manca del tutto la chitarra elettrica.
A.R. & MACHINES
Als Hätte Ich Das Alles Schon ‘Mal Gesehen
Con questo il brano il krautrock si fonde con il funk e la psichedelia per dar vita a un vero e proprio tripudio “spaziale” di chitarre elettriche super-effettate, con strati e strati di riff e frasi musicali che si intrecciano tra loro per dar vita a un groove alieno che doveva sembrare qualcosa di totalmente fuori di testa nel lontano 1971.
MY SOLID GROUND
The Executioner
I My Solid Ground di Rüsselsheim non riuscirono mai a imporsi al grande pubblico, abbandonando le scene dopo un solo album. Ci hanno però lasciato un po’ di buona musica tra cui questo stravagante brano hard rock intitolato “The Executioner”, caratterizzato da un’inquietudine e da un nervosismo strisciante che sembrano esplodere quando entra in scena il possente mellotron.
ORANGE PEEL
We Still Try To Change
Un bel brano hard rock, pubblicato nel 1970, che deve moltissimo all’esempio dei Deep Purple. C’è una chiara influenza della storica band di Ritchie Blackmore, soprattutto nell’organo bollente e senza freni in stile Jon Lord, ma anche avvisaglie della rivoluzione progressive alle porte.
OS MUNDI
A Question Of Decision
Prodotti dal grande Conny Plank, i berlinesi Os Mundi di “A Question Of Decision” ammaliano con un sound suadente dal chiaro sapore psichedelico ma inclassificabile, impreziosito dalla presenza del sassofono e di percussioni tribali. Un ponte ideale tra l’occidente e l’oriente, quasi fosse una versione “felice” della Germania dei difficili anni ’70.