Tornati sulle scene dopo oltre un decennio lo scorso maggio con “A Tiny House, In Secret Speeches, Polar Equals“, i misteriosi Sweet Trip, californiani di origini presumibilmente messicane, hanno frugato ben bene nelle loro memorie esterne e, sfruttando l’onda lunga di quel lavoro, hanno pubblicato una raccolta di b-side, out-takes e demo di varia provenienza temporale.

Valerie Reyes Cooper e Roberto Burgos sono in pista dal 1993, anno di formazione della band, ed hanno fin qui pubblicato “Halica” (1998), “Velocity : Design : Comfort” (2003), “You Will Never Know Why” (2009), nonchè il citato “A Tiny House”…” (2021). Si definiscono un gruppo di pop sperimentale, e indicano come fonti di ispirazione ovvi numi tutelari come Slowdive, Chameleons, Seefeel, My Bloody Valentine, Aphex Twin e Cocteau Twins, ma anche, molto meno intuitivamente, Iron Maiden, Sonic Youth, Michael Jackson e Led Zeppelin (sic)…

Che non siano un gruppo banale lo si capisce facilmente ascoltando gli sprazzi di schizofrenia musicale presenti in questo doppio LP. Il meglio del loro eterogeneo stile si può cristallizzare in soli dieci minuti di ascolto, a metà  del primo disco: seguono in spettacolare successione “A Seagull Lull”, estatico folk contemplativo, con il loro piglio nostalgico che rimembra tramonti adolescenziali sulla riva del mare; il post-punk lo-fi di “Route of Escape”, un incrocio tra Joy Division, Cocteau Twins e un gruppo di ragazzini imberbi che improvvisano nello scantinato; e l’incessante cavalcata “Soul to Harvest”, interamente strumentale, con un basso funambolico a duellare con lo strepitìo di chitarre che incalza sullo sfondo.

Questa carrellata non può chiamarsi propriamente “‘album’: sono piuttosto abbozzi, tentativi, monconi e pezzi di idee. Eppure, il marchio di fabbrica degli Sweet Trip è inconfondibile e copre un range di stili sterminato che abbraccia tutta la musica elettronica nata nell’ultimo trentennio (l’ambient-techno di “Aluralura”, la folktronica di “Untitled”, la synthwave in “Total”), senza omettere il loro pezzo forte, il tech-shoegaze aggraziato da arpeggi indie/jangle su cui hanno costruito il fiore della propria carriera (“To Live in Valium”, “Wait, Stray”, “No Title Half”).

I brani più compiuti sono perciò l’indie-pop di “KKMJ”, il cui testo si riduce ad una frase ripetuta allo sfinimento (“Sono fottuto, dì quel che ti pare!“), sulla scia di “You Will Never Know Why”, e quello di “Things to Ponder While Falling”, che poteva nondimeno figurare su “A Tiny House”…”. Chiude una versione dal vivo di “Milk”, suonata a casa di qualcuno (“‘live illegale nell’appartamento‘, recita il titolo completo).

Qualcuno, ravanando nell’internet, ha fatto notare che anagrammando il titolo no-sense di “Eave Foolery, Mill Five”, presente sull’album dell’anno scorso, si otterrebbe “Valerie, love of my life“: pare (sottolineo il “‘pare’) che Valerie e Roby siano una coppia anche nella vita, e che le vicissitudini del gruppo seguano di pari passo la loro vita sentimentale ““ da qui possiamo speculare sullo iato di 12 anni prima di questa fugace riapparizione. E pare anche che i due si siano lasciati nuovamente e che dunque gli Sweet Trip si siano sciolti un’altra volta. Poco male: con un EP, quattro album e questa compila di pregevoli scarti hanno tuttavia raggiunto uno status di culto che non potrà  che crescere negli anni, e noi siamo comunque felici di aver fatto la loro conoscenza.

NdR: la versione in vinile consta di due dischi e 19 brani, ma quella digitale è un mastodontico compendio di quasi 3 ore e mezza (e 50 pezzi), con qualità  inevitabilmente decrescente e scampoli di classe disseminati qua e là . La recensione di cui sopra si limita alla versione “‘potabile’, di un’ora e un quarto di durata.