Come il protagonista de “Il Respiro” di Thomas Bernard (per la cui rappresentazione teatrale gli Yellow Capra hanno scritto le musiche) il suono di questa band milanese cerca di affrancarsi dalla malattia ricorrendo – appunto – sì alla musica, ma legata alle immagini (numerose – infatti – sono state le collaborazioni con registi e le composizioni per film muti); cercando – per quanto possibile – di fermare il tempo, di catturare emozioni sempre più intense; in un malinconico viaggio sonoro che (con l’aggiunta di flauti, violoncello, wurlizer e rumorismi vari al tradizionale chitarra-basso-batteria) parte dal post-rock (ovvero “il niente”, ® Giov) e arriva alle melodie cinematiche e strumentali, passando per l’elettronica, la musica classica e perfino certe esplosioni rock.

Attraverso un’esperienza live a fianco di band come Calla, Arab Strap, Giardini di Mirò, ecc. gli Yellow Capra giungono alla prima tappa sulla lunga distanza nel pieno della loro forma creativa, portando alla luce dieci acquerelli acustici, dieci bozzetti di “rock da camera” che trova la sua ragion d’essere nelle giornate uggiose.

Più che il singolo brano, deve essere tenuto in considerazione l’intero lavoro, come un’opera in più atti, ognuno collegato, ma allo stesso tempo indipendente dall’altro: si va dalcrepuscolarismo di “Roulè Roulotte” alle voci eteree di “Topo Morto & Mini Mucca”, passando per le atmosfere Mogwai – ma più romantiche – di “(I Am) Macho Man” e della rarefatta “Swim Milo, Swim”, per l’etnica di “Matranga”, fino al crescendo stile Explosion In The Sky di “Red Meat”. Alla fine del disco, si ha l’impressione di aver percorso (intrapreso?) una strada per sfuggire al male di vivere – in tutte le sue sfumature – attraverso le immagini evocate da un dolce messaggio sonoro.