Voglio fare le cose alla rovescia per una volta. Voglio partire dal voto. 4 su 5. Perchè? Trovo “Suck it and See” un disco ben fatto, non pesante e che si lascia ascoltare con estremo piacere, anche due o tre volte di fila. Ooooh, ora mi sento più libero, vi ho detto che il disco mi piace e posso finalmente iniziare questa benedetta recensione.

Allora. Vi ricordate degli Arctic Monkeys che ai loro concerti regalavano le proprie registrazioni e che mandavano in estasi il popolo myspaciano? Bene. E di quelli che si truccavano da pagliaccetti e con le loro chitarre fumanti infiammavano i teenager e non solo a ogni angolo della grigia albione? Bene. E di quelli che, con i capelli che ormai gli arrivavano alle spalle, partivano alla volta del deserto accompagnati dal buon Josh Homme e si davano a riffettoni Sabbatiani? Anche di questi vi ricordate? Bene. Cancellate tutto. Gli Arctic Monkeys del 2011, non sono nei primi, ne i secondi e ne i terzi di cui vagamente vi ricordate.

Alex Turner and Co. son cresciuti, hanno rallentato il passo e sì, si son avvicinati, perchè no, alla parola che voi, indierocker, tanto odiate, POP. Eh sì, “Suck and See” It è un disco estremamente pop, estremamente orecchiabile e non è un caso che si sia permesso di dare un calcione nel popò della ‘scandalosa’ Lady Gaga per passargli avanti nelle classifiche Uk.
La formula adottata dai 4 di Sheffield è semplice, rallentare i ritmi, smorzare i distorsori e addolcire sensibilmente le melodie. Anche se il riff iniziale di “She’s Thunderstones”, che poi sfuma in una semiballad, il rock acido di “Don’t Sit Down Cause I Moved Your Chair” (‘Do the Macarena in the Devil’s lair’..altro che acidi) e il ritmo cavalcante di “Brick by Brick” in cui Alex Turner alla voce è sostituito da Matt Halders (batterista) sembrano vogliano rimandare al suono di “Humbug”, e la sbarazzina “Library Pictures”, la traccia più cazzuta del disco, a quello dei primi due album, i Monkeys dimostrano che la sinfonia è cambiata. Non c’è più tanta voglia di far casino, ma di rilassarsi su melodie più dolci, meno irrequiete e più “mature”. Dimostrazione lo sono le ballate come “Black Treacke”, che nel finale si accende con dei riff in stile Nirvana, o ancora “The Hellcat Spangled Shalalala” e “Reckless Serenade” che dimostrano la grande forma compositiva di Turner, che nel periodo pre-registrazione si è pure preso la briga di far uscire un lavoro tutto suo per il film Submarine in cui è finita una versione più spoglia di “Piledriver Waltz”. La coda dell’album è caramellosa e stuzzica con il quasi tributo agli Smiths di “That’s Where You’re Wrong”, che sembra quasi voler dimostrare la volontà  di un ritorno in terra d’Albione dei quattro, e la maliziosa “Suck It and See” (che sa molto di doppio senso, motivo per cui le Scimmie si sono beccate una simpatica censura negli Stati Uniti, il paese della libertà …sì, di girare con un fucile nel bagagliaio, ma vabbè).

Gli Arctic Monkeys viaggiano da una sponda all’altra dell’Atlantico a vele spiegate e danno l’impressione di non voler calare l’ancora proprio ora…ora che son riusciti a spingere il ‘nostro’ amato rock, travestito da pop in cima alle classifiche.