Ferrara, Parco Massari, sono da poco passate le 23 quando la fine di lunga selezione di brani prevalentemente ambient vede esplodere, sul palco ancora vuoto, “Deathmental”; un’attesa volutamente sfiancante che si conclude con la lenta entrata in scena dell’artista austriaca, occhi bassi, capigliatura à  la Christian F., e le sommesse “Lost” e “Cradlesong” ad aprire un concerto che si rivela sin da subito un po’ in salita: la giovane performer appare infatti appesantita e fiaccata dalla calda atmosfera ferrarese, ed ogni nuovo brano viene preceduto da un pesante e stanco sospiro; “Vater”, dedicata al padre scomparso quello stesso giorno di tre anni fa, viene inoltre caratterizzata da alcuni evidenti errori di esecuzione: “Damn, I’m confused”, sussurra Anja, le mani nervose a coprire il viso ed uno sguardo mortificato nel pronunciare imbarazzate scuse. E’ con voce ancora tremante che ha inizio a “Fall Foliage”, ma stavolta tale condizione canora va ad illuminare il brano di un’angoscia claustrofobica perfettamente aderente alla disperata rassegnazione del testo; luci rosse sangue immergono la scena, la Plaschg si alza, si dirige fuori dal palco e si lascia cadere a peso morto sull’erba.

E’ forse in questo ricercato malore, in questa presa di contatto con il suolo e con il peso del proprio corpo, la possibile chiave di lettura dell’arte di Soap & Skin, nonchè un momento di tesissima intensità . Organizzatori e addetti alla sicurezza circondano preoccupati l’esile cantante ancora riversa a terra, ma eccola rientrare in scena artigliando l’aria con un pugno e dando subito vita alla potentissima “Meltdown”, indispensabile scarica di adrenalina, necessaria per gettarsi finalmente alle spalle ogni insicurezza.
Da qui in poi, la rinascita: le drammatiche “The Sun” e “Thanatos” immergono la platea dentro severe e ipnotiche pulsazioni, mentre le oscure confessioni di “Spiracle” rappresentano il momento di maggiore e commossa comunione fra la giovane artista ed un pubblico totalmente rapito. Non sono pochi i momenti di dialogo fra la fragile chanteause e le poche centinaia di persone raccolte in religioso silenzio ai piedi del palco; oltre alla già  menzionata dedica al padre scomparso, la Plaschg si rivolge al pubblico ferrarese con un preoccupato quanto tenero riferimento al terremoto delle scorse settimane.

Oltre a ripercorrere i brani del precedente “Lovetune for Vacuum”, particolare attenzione viene riservata alle cover, tra le quali compaiono “Born to Lose” di Shirley Bassey e “An Angel” dei “Kelly Family”, entrambe eseguite assieme alla sorella Evelyn, ospite speciale in veste di corista.
Nella seconda parte la scaletta è invece dedicata all’anima più elettronica del repertorio, come in “Big Hand Nails Down” e “Marche Funèbre”, interpretate fra danze sconnesse ed epilettiche di corpo e luci. E’ soprattutto in questa improbabile quanto convincente veste di lap dancer electro-goth che Anja sembra liberarsi completamente dei suoi demoni, riuscendo a dare al suo set nuova e preziosa linfa vitale.

è infine con una bellissima e personale versione di “Pale Blue Eyes” dei Velvet Underground che si chiude uno dei concerti più toccanti, catartici ed emoziona(n)ti che siano passati dal nostro paese negli ultimi tempi.

Credit Foto: Alexander Kellner / CC BY-SA