Colin Stetson è un genio. E oltre ad essere un genio, è anche un atleta con due polmoni grandi evidentemente ognuno quando un monolocale in zona Loreto a Milano. Perchè dai, per suonare un sassofono (basso in sib, per l’esattezza) con la tecnica della respirazione circolare, in QUEL modo, qualche dote atletica devi pur avercela. Sarà  un caso (ma no che non lo è), eppure dove Colin presta i suoi polmoni (Arcade Fire, Bon Iver, Tom Waits, AU“…) si respira aria di grande musica, e il suo apporto in questo senso è tanto (alle volte) ai limiti dell’udibile quanto (sempre) decisivo.

Ma poi, quella di Stetson è davvero musica? Voglio dire, ovvio che lo è, ma di certo non è musica come siamo abituati a sentirla (parlo di poveri ascoltatori del rock e del pop e non di avanguardisti sperimentali fissati con l’innovazione a tutti i costi). Io parlerei spesso di SUONO. Per quanto banale. Colin Stetson ha la capacità  di risvegliare l’ancestralità  latente nell’uomo, in quello che ha appena messo piede sulla Terra. E’ capace di risvegliare in un colpo entrambe le tendenze insite nell’uomo: il desiderio brutale e lo slancio verso l’infinito. Tutto questo con il solo sassofono, come ha già  dimostrato nei due più che pregevoli precedenti capitoli della trilogia “History Warfare”, fatta eccezione per pochissimi brani cantati. Ecco, qui il featuring vocale si fa più massiccio, ed è, manco a dirlo, di Justin Vernon. Per certi versi bramo febbrilmente una futura collaborazione con Tom Waits e Win Butler, ma il falsetto del signore del folk contemporaneo è pressochè perfetto per la musica del sassofonista canadese. L’effetto che si ottiene dal contrasto tra la voce (non sempre bianca in questo caso) di Justin e l’incedere grave, alle volte marziale e alle volte nervoso e straziante dell’ottone di Colin è annichilente ed uplifting allo stesso tempo.

E’ un prisma con due facce maggiori, “NHWV3”, si diceva prima: una “violenta” (ben esplicata in “Brute” ““ file under: hardcore jazz) e una celestiale (il gospel di “What They Are Doing In Heaven Today”). In mezzo, le mille sfaccettature dipinte dal sassofono di Stetson (i 15 e passa minuti della titletrack sono il manifesto dell’album) : quelle che riprendono alcuni passaggi dell’album precedente in “This Bed of Shattered Bones” e “Part of Me Apart From You”; e poi aperture di fiato, fraseggi ondivaghi, giri armonici e quell’attitudine sottilmente post-rock legata ai Godspeed You! Black Emperor più languidi.

Urli e sospiri, ristagni di laghi e folate di vento strumentali che risuonano direttamente dall’isola di Prospero. Disco che è quasi un crimine classificare (e se vi pare potete anche non leggere il rating), ma se proprio devo, leggete quella mezza stelletta in meno come un eccesso di prudenza, perchè il mio voto sincero sarebbe quello uscito dalle maniche di due camice di Platinette.

Credit Foto: Peter Gannushkin