Jet Set Roger (alias Roger Rossini) è un artista a cui non piace certo vincere facile, e lo dimostra una volta di più con il suo nuovo album “Un rifugio per la notte”

Nato a Londra nel 1973, ha vissuto a Brescia dove si è diplomato al Conservatorio e nell’arco di una ventina d’anni dai suoi primi tentativi musicali non ha mai cercato scorciatoie o la via più accessibile al successo.

Da esponente di un certo glam rock ha via via affinato il suo linguaggio, sempre più vicino a quello caro a certa nobile musica d’autore, riuscendo a stupire tutti a fine 2016 quando diede alle stampe un progetto alquanto ambizioso: “Lovecraft nel Polesine”, un vero e proprio concept album, corredato inoltre dalle tavole del fumettista serbo Aleksandar Zograf.

Soddisfatto degli esiti e desideroso di mettersi nuovamente alla prova in un contesto similare, dove varie arti si mescolano fra loro, negli ultimi anni Roger si è rimesso a studiare dopo che una lampadina gli si era improvvisamente accesa dentro.

Riprendere in mano la vicenda del poeta malandrino medievale Franà§ois Villon, cui lo scrittore Robert Louis Stevenson aveva dedicato il racconto “A Lodging for the Night”, ha comportato infatti da parte sua un tuffo a ritroso nella poetica di entrambi gli autori, in un efficace quanto affascinante gioco di specchi e di rimandi.

Ciò ha reso necessario l’approfondimento di varie istanze filosofiche sottese ma preponderanti e tutta una serie di implicazioni morali e umane, nel ripercorrere appunto le fasi cruciali di questo racconto, ambientato in una Parigi fredda e spettrale.

Un lavoro ambizioso, nulla da eccepire, e che denota non solo originalità  e rigore da parte del cantautore ma anche un certo coraggio, in tempi in cui la musica è sempre più fluida, liquida e spesso – ahimè – inconsistente.

Niente di tutto ciò è da affibbiare al nuovo progetto del Nostro, sottotitolato “Ispirato a un racconto di Robert Louis Stevenson” e lo si evince già  da come il tutto sia stato ottimamente confezionato.

Ci si trova così davanti a qualcosa che è ben più di un disco, e non solo per il bellissimo fumetto del già  citato autore Zograf (nome d’arte di SaÅ¡a Rakezic), storica firma della rivista “Internazionale”.

Prima di gustarsi la trasposizione fumettistica dell’opera, infatti, lo stesso Jet Set Roger ci fa inoltrare tra le pieghe della storia con un’introduzione che funge da saggio sull’argomento, in cui delinea non solo le ambientazioni ma anche più di un topos letterario, soffermandosi nell’analogia di questo racconto dello scrittore Robert Stevenson con quello che scriverà  in seguito e gli darà  fama e un posto nella storia: “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde”.

Il disco si dipana quindi come un unicum, dalla prima traccia all’ultima, con nel mezzo due ballate ispirate direttamente agli scritti del protagonista della vicenda qui narrata, Franà§ois Villon, funzionali all’intreccio narrativo.

Seguiamo così il poeta-ladro nel suo viaggio, non solo introspettivo, giacchè dal primo brano – ambientato in una taverna, da lì il titolo – all’ultimo, “Il mattino (sono ancora vivo)”, si metterà  in fuga dopo aver assistito a un assassinio durante una partita di carte. Villon scappa impaurito e si rifugia dapprima in un’abitazione dove trova il cadavere di una donna, e le ruba pochi spiccioli. Infreddolito, fugge dall’inseguimento di feroci lupi, finchè trova finalmente ospitalità  presso il nobile Brisetout, che ne giudica con toni morali la condotta. Ne scaturisce un dialogo fitto tra i due, dove vengono infine messi in dubbio i concetti di bene e male, di giusto e sbagliato.

Starete pensando che ho fatto una palese opera di spoiler ma in realtà  non è così e mi pareva giusto se non altro indicare il quadro tematico in cui ci si muoveva, tra contesti noir e intellettualismi mai però fini a se stessi.

Ogni canzone scandisce un episodio, ne riassume le atmosfere, sia nei momenti più concitati che in quelli riflessivi; ogni traccia musicalmente indossa la veste migliore per sintetizzare quanto enunciato nei versi, che a livello strutturale si riconducono alla stessa forma poetica cara a Villon, quindi relativa alla seconda metà  del 1400 (e anche in questo è lodevole lo sforzo in fase di scrittura di Jet Set Roger).

Lo strumento principale è il pianoforte, suonato in tutte le tracce da Roger; c’è poco rock (presente in particolare nel brano “Morte di Thevenin”) e il tutto è rivestito di un’aura sofisticata e raffinata.

L’apice in tal senso, a mio avviso, si raggiunge in “Ballata delle dame di un tempo”, impreziosita dalla voce di Angela Kinczly e dalla tromba di Francesco Venturini (vanno citati anche gli altri collaboratori, il chitarrista Tommaso Parmigiani, il batterista Stefano Malchiodi e Marco Franzoni, quest’ultimo anche co-produttore dell’album con lo stesso Roger Rossini).

Altre canzoni degne di nota per il puro semplice ascolto (sempre ricordando che andrebbero necessariamente sentite in ordine logico) sono l’oscura “La ronda”, la vivace “Carnevale” – dove si raggiunge il momento topico a livello concettuale – e l’iniziale “La taverna”, obliqua e teatrale.

Ecco, se volessimo aggiungere ulteriore carne al fuoco, ci immaginiamo pure una trasposizione tipo musical che potrebbe enfatizzare ancora di più gli episodi che compongono la storia.

Volendo proprio trovare un difetto, invece, lo si ravvisa nell’interpretazione vocale, piuttosto omogenea e con poche sfumature, al cospetto di un apparato musicale convincente in ogni soluzione, ma si tratta in fondo di un peccato veniale dinnanzi a un lavoro imponente e certamente coraggioso.

Credit Foto: Roberto Covre