5 brani nel cuore della notte del nostro immaginario più rumoroso, un onirico viaggio sonoro che costruisce un ologramma dello spazio colmo di questi brani pienissimi, uno spazio musicale che il trio di New York ha sempre saputo riempire come pochi altri del loro genere, mantenendo anche in questo “Hologram” l’intatta sensazione che si ha quando si ascoltano gli APTBS, quella capacità  appunto di non far passare neanche un minimo vuoto dentro i contorni creati dagli strumenti, uno space rock ad alto volume, che sfida e osa spingendo sul livello del rumore, producendo un effetto a volte disturbante e pericoloso come delle secchiate di energia in pieno viso.

Qui ne abbiamo buonissimi esempi, dalla marziale e perfetta apripista “End of night”, quasi ballabile vagamente Blues Explosion,   alla veloce “I might have”, alla oscura “In my hive”, forse il pezzo più riuscito, con queste calate laviche, tiratissimo,   una voce non filtrata ma degna dei migliori Killing Joke d’annata.

5 brani per rafforzare forse anche in modo più conciso una direzione chiara e precisa di un gruppo monolitico, certo, che fa dell’uso dell’elettronica applicata alla strumentazione un convincente perno che ruota attorno ad un suono che prende le sue origini anche dal blues più sgraziato di Detroit, dai bassifondi di una NY no wave e soprattutto da una new wave di britannica memoria, che viene ibridata dal miglior suono noise caro a tipi come My Bloody Valentine, dove il tappeto chitarristico si stende avvolgente sulle nostre ultime domande di bisogno (“I need you”) in un degnissimo finale, perfettamente dreamy e caldo, come una lunga culla che dagli anni 80 si riverbera fino ai nostri giorni, un bisogno di rumore amico che si sviluppa lungo una ammaliante voce tenebrosa, ma vicina e confortevole, un brano intenso stemperato dalle asperità  dei pezzi precedenti, a confortare il concetto di come la proposta A Place To Bury Strangers   sia un perenne tentativo di equilibrio fra due mondi, dure scalate vertiginose e malinconiche melodie su cui ripiegare e forse la formula ristretta di un EP come questo “Hologram” è la dimensione più adatta per contenere tale ambivalente esuberanza.

Credit Foto: Heather Bickford