Feist è la ragazza che ogni giorno vedi ritornare verso le sette di sera. Lei, con le buste della spesa, la borsa che le cade di traverso per cercare le chiavi del portone. Capelli lisci, lunghi fin oltre le spalle, di un nero intenso, sincero come il suo sguardo da cerbiatto, pelle di porcellana. Una di quelle bellezze non eclatanti da copertina, ma per questo ancor più devastanti. Come la sua voce, un incastro magico di suadente melodia, roca quando sussura, ma potente ed estesa quando si lascia andare. Ne ha fatta di strada da quando era uno dei tanti componenti di quel folle combo che risponde al nome di Broken Social Scene; nel frattempo ha piazzato preziose collaborazioni, una fra tutte quella con i Kings of Convenience ed un disco di debutto, l’altalenante “Let it die”. Passo dopo passo Feist cresce in maniera esponenziale, acquistando fiducia ed impressionante padronanza dei propri mezzi. In quest’album nulla è fuori posto, scorre via piacevole come una folata di vento nel bel mezzo di un’equatoriale giornata estiva.

Ogni canzone, pur nella sua disarmante semplicità , si trascina dentro tutta la passione di un’artista vera, che prima di cantarle le cose le sente sulla propria pelle. Dolci movimenti di chitarra semi-acustica accompagnata da deliziose parti di batteria, di mandolino quando capita, archi impercettibili ed efficaci, piccoli sussurri di pianoforte, battiti di mani, fanno da tappeto alla splendida voce di Feist.

Pare che lei sia lì, sulla veranda ad abbozzare piccole canzoni, riempiendo il silenzio con quella sua estensione delicata, che pare congiungere tutti i punti dell’aria dinanzi. Raramente mi era capitato che un album girasse dentro con la stessa disarmante facilità  di questo, già  dal primo ascolto. Ma quando sul piatto metti pezzi come “So sorry” bossanoveggiante nell’ammiccante incedere, o come ‘I fell it all’ canzone pop pressocchè perfetta, o come “Past in present” il dado è tratto e l’anima sciolta.

Canzoni che hanno la freschezza delle lenzuola appena lavate, seriche ed avvolgenti, con quella sensazione massima di pulito che riscalda il cuore inondandolo di tepore; come in “The limit of your love” dove rivela tutta la sua classe da chanteuse, facendo innamorare chiunque l’ascolti. Brani così intimi, mai mielosi, sempre sostenuti da un ritmo invogliante. Brilla di sole la strada al crepuscolo, arancione di tequila sunrise, con occhi nuovi guardo la natura intorno, con nuove orecchie giaccio sotto il salice che non piange più. Un album che irradia tutta la lucentezza discreta e tonificante del crepuscolo primaverile. E smettila di fissarla malinconico da dietro le tendine della finestra; fai un respiro profondo, fatti coraggio e scendi ad aprirle il portone.