Immaginate una copula contronatura tra Syd Barret e The B-52’s. Mi chiederete, che c’è di contronaturale? Infatti, proprio niente, ed ecco che verrebbero partoriti gli Thee Oh Sees
Ascoltate per credere la seconda traccia, “Visit Colonel”, o la quattordicesima, “Quadrospazzed” (se non è un titolo da B-52’s questo). E se i B-52’s hanno fatto la colonna sonora dei “Flinstones”, qui troviamo addirittura una “Koka Kola Jingle”, fulminante spezzone di freak-folk reverberatissimo.

Mi accorgo di aver cominciato la recensione dalla fine, quindi faccio un riavvolgimento e vi dico che Thee Oh Sees è l’incarnazione più recente dei sogni psichedelici di John Dwyer, nato a Providence, Rhode Island (toh, la stessa città  di HP Lovecraft…) ma migrato verso i lidi più luminosi di S. Francisco. Nel corso degli anni Mr Dwyer ha usato vari nomi per dar corpo alle sue esplorazioni soniche, tra cui OCS (un acronimo buono per qualsiasi combinazione di parole). Quando il progetto solista si è trasformato in gruppo è cominciata un’altra ridda di nomi (Oh Sees, Ohsees e via permutando). Fatto sta che questo è il suo settimo disco.
E cosa troviamo? Fondamentalmente una ritmica secca e meccanica molto anni’80 (dovuta a Petey Dammit! al basso e Mike Shoun alla batteria), schitarrate a volte quasi rockabilly ma subito coperte da una quantità  industriale di feed-back e distorsione che non lascia dubbi sul tipo di generi di conforto graditi ai ragazzi. La voce di Dwyer è perennemente filtrata da un reverbero megafonico che alla lunga può stancare, ma sotto c’è l’altra bella vocetta di Miss Brigid Dawson, che non usufruisce del megafono ma solo del reverbero…

Diciamo che la forza di Dwyer sta nella sua chitarra lisergicamente sonica e nel suo manifatturare canzoni che funzionano perfettamente (“Graveyard Drug Party”, a parte il titolo che mi ricorda una scena di “Easy Rider”, è un piccolo capolavoro di psichedelia sognante, con tanto di vibrato molto sixties). La parte musicale va alla grande: è proprio quella vocale che risulta alla fine ripetitiva, e che ti fa sperare in un cambio di sonorità . Nel complesso il disco mi è piaciuto, molto acido, bella carica, gran chitarra, idee a iosa, ottimo per programmazioni radiofoniche un pezzo alla volta, ma quindici pezzi in fila tutti cantati al telefono…

Credit Foto: Oliver Halfin