Dopo aver ascoltato il disco diverse volte, il dubbio che mi accompagnava sin dall’inizio diventa una convinzione: i Coldplay, ormai alla canna del gas in quanto ad ispirazione, si sono affidati alle mani di Brian Eno per venir fuori dagli impicci. Alla fine i conti tornano, ma solo parzialmente.

“Viva La Vida” prende una strada nuova, non strizza l’occhio al pubblico ed è un prodotto a suo modo interessante, diverso, almeno rispetto alla precedente produzione della band. E’ un frullato di rimandi e citazioni, dagli U2 ai Blur, dai British Sea Power per finire al più becero britpop mainstream. E’ pesante la mano di Eno sui brani in scaletta, decostruiti, tortuosi e in bilico tra la classica forma canzone, deviazioni epiche che intrecciano partiture di archi e rock da stadio. La sensazione forte che si fa largo ascolto dopo ascolto è che Martin e soci si siano semplicemente fatti guidare, mettendoci un poco di mestiere ed il minimo sforzo per ottenere un risultato accettabile.

Di buono c’è che tutto quello che rendeva “X&Y” un disco banale, fiacco e “nato vecchio” qui è trasfigurato da una produzione coraggiosa che accompagna la forma canzone in un sali-scendi strutturale molto piacevole e in qualche modo sorprendente. Ma il pur mirabile lavoro di Eno alla lunga non riesce a colmare il grande vuoto che risiede nel cuore delle composizioni, invero prive di qualsiasi anima pulsante. Spogliate degli abbellimenti e della elegante confezione diventano oggetti banali, pallide imitazioni dei capolavori degli esordi e inesorabili segni di una band giunta alla frutta dopo appena due dischi.

Complesso anche trarne un giudizio finale che per comodità  otterremo dalla risultante media algebrica tra le tre stelle e mezzo della confezione e la stella e mezzo dell’ispirazione. Ad oggi una delle band più sopravvalutate dell’intero globo terracqueo, i Coldplay si salvano per il rotto della cuffia, scendendo a compromessi con la propria vena compositiva svanita nella nebbia mattuttina di una Londra di mezza stagione, affidandosi interamente al mestiere e all’esperienza di un grande produttore. La prossima volta sarà  difficile far meglio, ma al grande pubblico degli stadi e delle grandi arene non credo possa fregare di meno. Non tutte le storie hanno un lieto fine. Non tutte le storie devono avere necessariamente una fine.

Photo by Tim Saccenti