Sono già  passati tre anni da quando Nick Cave decise di dedicarsi a ciò che pareva, apparentemente, non più di un divertissement ideato per staccare un po’ da quei Bad Seeds che forse non lo soddisfacevano più di tanto. Grinderman si è poi rivelato un progetto con una sua forma e una sua sostanza: l’esordio omonimo fu infatti un ottimo ripescaggio di suoni più aspri e abrasivi, un lavoro che ripartiva dalle più lontane radici del musicista australiano (i suoi Birthday Party) e si fondeva con il lato più selvaggio del rock. Dargli un seguito è stata quindi cosa buona e giusta.

In “Grinderman 2” le carte in tavola non vengono rimescolate più di tanto. L’attitudine dei nove episodi è la medesima, ossia la più primordiale e grezza possibile, sempre in concomitanza con l’innata classe del loro autore, che tra l’altro da un paio d’anni a questa parte è solito sfoggiare un bel paio di baffoni da trangugiatore di whiskey che ben si addicono all’occasione.
Si parte col secco giro di basso di “Mickey Mouse And The Goodbye Man” sul quale poi si scatena la voce di Nick che a tratti si fa roca e diviene ululato, con sottofondo di chitarre distorte dal sapor di fuzz, che giganteggiano assieme alla sezione ritmica. Chitarre che ritroviamo ricche di effetti in “Worm Tamer”, brano dal piglio quasi claustrofobico, però tra i meno convincenti del lotto. “Heaten Child” se ne va via tra blues e acidità , mentre “When My Baby Comes”, pezzo assai waitsiano, ha un incedere quasi tribale, che sul finale si trasforma in un lisergico delirio. “What I Know” sposta l’accento sulla ballata, materia che il Nostro riesce ancora a maneggiare con una certa maestria. Tiratissima, invece, la successiva “Evil”: se vogliamo una sorta di omaggio agli Stooges e al periodo più malato della sua carriera. Personalissimo e sporchissimo blues è quello di “Kitchenette”, con i suoi elettrici mini ““ solo a far da contraltare al cantato; su trame meno sporche si muove invece “Palaces Of Montezuma”, sorta di gospel con una riuscita melodia, specie nel ritornello. Chiude la carrellata “Bellinger Blues”, canzone che vede l’organo come forte presenza insieme a sonorità  sospese tra Hendrix e i Crazy Horse.

L’impressione che si ha ascoltando il disco è che l’ultracinquantenne Nick Cave si trovi più che a suo agio in questa dimensione, come se in lui si celasse il desiderio di un ritorno alla giovinezza o una comprensibile sensazione di nostalgia. O, molto più semplicemente, il rock “‘n roll è la cosa che sente di fare in questo momento e al contempo anche quella che gli viene meglio. E noi non possiamo che concordar con lui.