Un certo tipo di musica elettronica non ha mai fatto mistero di aver attinto molto dalla musica rap, che a conti fatti è stata molto più di un’ispirazione soprattutto per tutto il movimento trip hop, con i campioni funk, gli scratch e un tipo di cantato che si mescolava, se non propriamente con il rapping, perlomeno con quella sua parente stretta che è la spoken poetry. Poi è successo il contrario, e dalla fine degli anni ’90 – inizio degli anni 2000 è stata la musica elettronica a influenzare pesantemente le produzioni rap, caratterizzando soprattutto gli artisti provenienti da Detroit, patria di quel James Dewitt Yancey, aka Jay Dee, aka J Dilla capofila di quella “rivoluzione” che è sfociata nella nascita di tanti sottogeneri dai nomi più disparati.

Io, personalmente, amo la musica elettronica, soprattutto quando lascia trasparire quelle influenze non associabili al mondo digitale, quando la sperimentazione delle macchine incrocia gli stili tradizionali. Steven Ellison è il nipote di John Coltrane (!), ha tre dischi, di cui due fantastici, alle spalle e ogni sua mossa è accompagnata da commenti colmi d’entusiasmo. Le possibilità  di un passo falso sono quindi altissime, almeno in base alla mia (ormai) ultradecennale esperienza di ascoltatore.
Detto ciò, pronti via. Cominciamo dall’anticipazione: questo cortometraggio diretto da Kahilil Joseph, contenente tre estratti e un tributo a Dilla con la t-shirt “J Dilla Changed My Life”, per proseguire con il plauso per aver scelto di pubblicare un’edizione in vinile. Sempre che il disco vi piaccia.

18 tracce, di cui solo cinque sopra i tre minuti, mixate tra loro che scivolano via che è una bellezza. Flying Lotus rilegge il groove funkadelico di George Clinton e lo attualizza senza scordare la tradizione con cui ogni kid di colore cresce negli Stati Uniti. Io ho gustato alla grandissima i pezzi più d’atmosfera, più malinconici, data la passione per il trip hop, ma a mio avviso nulla è fuori posto in questo disco.

La partenza con “All In” lascia presagire una sorta di svolta lounge, ma subito si viene smentiti da “Getting There” con Niki Randa, batteria quadrata e voce avvolgente che ti accompagna a “Tiny Tortures”, minimale quanto basta a condurci per mano verso “Putty Boy Strutt”, mia hit personale di questo lavoro.
“The Nightcaller” potrebbe farsi strada in qualche dancefloor indie ultraesigente, Sua Maestà  Erykah Badu dona la sua voce a “See Thru To U”. Da ì in poi si viaggia quasi con il pilota automatico, con classe e personalità , fino al tocco trip hop di “Hunger”, di nuovo con Niki Randa e alla collaborazione di Thom Yorke (ormai un prezzemolino su produzioni del genere) su “Electric Candyman”
Il difficilissimo seguito di “Cosmogramma” è arrivato. In macchina funziona che è una bellezza, appena finito riparti al volo da “All In” e lo riascolti con piacere. Più immediato dei suoi predecessori, qualche apertura all’easy listening in più. Ma non fa che piacere.

Mister Coltrane sarebbe fiero del nipotino.