Non c’è bisogno di scomodare noiosi riferimenti scolastici; che artisti e letterati francesi siano avvezzi alla catalogazione è un fatto noto. Una volta l’anno capita di trovare, tra la caterva di pubblicazioni, l’ambizioso album di un musicista che ha pensato bene di redigere una bella enciclopedia tascabile su di un tema in particolare. Forse sotto sotto Diderot voleva fare il DJ, ma non è affatto strano che tali iniziative siano realizzate proprio da chi è avvezzo al mixer.

Nicolas Repac è un artista “all in one”: chitarrista, compositore, arrangiatore e produttore, insomma un DJ. Da 15 anni Arthur H si nasconde dietro tale alter ego e nell’ombra del suo studio di Montmartre lavora per riportare in auge mondi e civiltà  presto rimosse dalla memoria collettiva. Grazie alla sua lunga esperienza di compositore si è specializzato nella realizzazione di associazioni pindariche tra i vari campionamenti, conferendo a tali frammenti una seconda vita musicale e poetica, reintroducendoli in questo modo nel flusso post moderno che vive e si alimenta di citazioni e riferimenti in maniera costante.
“Black Box” è un viaggio sonoro dove Nicolas Repac guida l’ascoltatore nel testare tutte le sfumature del blues. Oltre alla musica in “Black Box” sono di fondamentale importanza le voci, in parte registrate per l’occasione e in altra parte provenienti dal campionamento di vecchie registrazioni, le quali conferiscono al progetto quella profondità  e drammaticità  che ben mitiga l’impostazione comunque fredda e compilatoria di Repac, attribuendo all’enciclopedismo un carattere umano da cui il blues non può prescindere.

La riuscita del progetto sta nell’aver evitato la cesura tra gli obiettivi teorici e i risultati pratici, tenendo insieme tutte le sfumature grazie all’ausilio di voci raccolte per l’occasione.
“Black Box” quindi diviene testimonianza di uno spettro vocale ad ampio raggio, che parte dai canti di lavoro dei detenuti neri registrati da Alan Lomax nel 1930, prosegue con il canto senza tempo di un nativo americano della tribù Chaman, il gioioso proto-rap di Bo Diddley, il lamento di una cantante zingara, le scherzose storie raccontate da un narratore creolo di Haiti, la dolce protesta di Cheikh Lo e per concludere il canto saudade del musicista angolano Bonga.

Nicolas Repac in “Black Box” lascia inalterata l’emozione grezza al centro della materia sonora che egli prende in prestito. Non un freddo collage di suoni raccolti in un cappello ma un vero album blues, vibrante e coinvolgente ““ e se vogliamo mondano quanto basta da non risultare troppo vintage ““ in grado di convincere anche gli ascoltatori profani.

Photo Credit: Bandcamp