Un vero scrittore riesce rendere interessanti anche gli attimi più ordinari. La capacità  è quella di osservare oltre la spessa coltre della banalità  dei gesti e cogliere il significato nascosto delle cose. La semplice descrizione vista da un punto diverso. Doti non comuni ma estremamente radicate nella penna di Mark Kozelek. Mi sembra di vederlo, chino sulla sua chitarra mentre la compagna dorme placidamente, a comporre canzoni a suo modo, senza scavare nel profondo di chissà  quale ferita. Sembra un artista più sereno quello di oggi, ma non perde il meraviglioso vizio dell’introspezione, cosa che è talmente radicata nel codice genetico che, se non si evidenziasse, sembrerebbe una perdita di identità . L’inquietudine è una condanna o un dono, dipende dall’angolazione con cui se ne osservano le conseguenze. Mark a questo giro lascia da parte la notte profonda, scegliendo i pigri pomeriggi chiusi dentro le mura domestiche ad arrovellarsi su quello spicchio ridotto di mondo che ci offre la vista fuori le finestre. Rovescia la prospettiva delle giornate noiose, coltivando brandelli di malinconia e mostrandosi ancora una persona che non ha ancora scelto ancora in che modo stare al mondo. Quel tipo di inquietudine che divora le cose e regala pagine di letteratura in musica.

Le canzoni ti si incollano addosso, quasi come quelle giornate dense che diventano la tua seconda pelle. Ci sono mille modi per cadere e ce ne sono altrettanti per restare in piedi ad osservare in assorto silenzio ciò che ci circonda. Si ha la sensazione che Mark si diverta a cristallizzare gli eventi, a dilatarne in contorni e a confonderne il significato. Si respira l’aria di una magnifica stasi, che non significa resa incondizionata al rumore della vita, piuttosto pare contemplazione della bellezza, quella che non può permettersi il lusso di luccicare e deve credere ciecamente nell’interpetazione di coloro che ne incroceranno le fattezze. Dal punto di vista prettamente tecnico, l’incontro con i Desertshore (membri di Red House Painters e Sun Kil Moon, giusto per restare in tema) permette alle canzoni di variare il tema pur restando fedeli alla forma di malinconia acustica in stile Kozelek. In più asciugano le composizioni, favorendo un equilibrio che non si era riscontrato nelle precedenti prove soliste e dei Sun Kil Moon.

Questo nuovo sodalizio ci consegna probabilmente il miglior Mark Kozelek dell’anno, siamo al terzo disco in pochi mesi, che mette moto un percorso nuovo e coerente al tempo stesso. Un disco capace di ridare luce ad un talento sopraffino che si alleggerisce, almeno in parte, del peso di una tristezza cupa e profonda. Abbriaccia la pura contemplazione descrittiva del proprio mondo, non facendo distinzione alcuna tra ordinarietà  dei gesti e intensità  dei sentimenti. Centinaia di tramonti interiori che illuminano a giorno i momenti di smarrimento, si guarisce dalla tristezza con la malinconia. E nessuna voglia di lenire completamente le proprie ferite.