“Where Are You Now” è il nuovo album dei port-royal che segue i precedenti lavori e segna il ritorno della band sulla scena dopo un prolungato silenzio. Uscirà  per l’etichetta americana n5MD, ma qui vogliamo evitare i discorsi esclusivamente fondati sull’esterofilia e sul provincialismo. Come è pressochè inutile etichettare una band del genere che si potrebbe definire solamente di confine, più precisamente open borders. Nel tempo, più per pigrizia che per altro, si sono cercati facili accostamenti a presa rapida e fuori luogo: su tutti la definizione di “Sigur Ros” italiani. “Flares”, “Afraid To Dance” e “Dying In Time” hanno segnato un’epoca e rimangono macigni che difficilmente verranno dimenticati in quanto tale musica è più dà  ascolto che puntata alla fruizione live, magari estiva. Quest’ultima frase va presa comunque con le pinze, perchè probabilmente il tutto è legato a fattori ambientali e culturali. è sufficiente vedersi qualche video riguardante concerti nell’Est Europa per capire come i suoni dei genovesi siano ballabili; mentre mi è capitato più volte di vederli in Italia ritrovandomi da solo a ballare tra persone più attente a scovare discrepanze rispetto al “come suona su disco”.
Per collegarsi al futuro prossimo dell’uscita imminente è utile tirare fuori il concetto di “morire a tempo”, sviscerato con l’ultimo disco e parecchio attuale. Non si parla qui esclusivamente di morte biologica, ma di situazioni normali di vita vissuta trascinate troppo a lungo o lasciate per strada senza la necessaria attenzione. La cieca passione o l’apatia annebbiano e rischiano di far perdere il momento giusto, precludendo strade e scenari potenzialmente ricchi e dispersi solo per ansia, paura e difficoltà  ad uscire dalla routine.
Ad un primo ascolto si capisce immediatamente che i port-royal sono morti perfettamente in tempo con la trilogia precedente e con la riflessione decennale presente in “2000-2010: The Golden Age Of Consumerism”.
Le nuove strutture, i timbri e le variazioni sono capaci di far piangere di gioia tanto risultano azzeccate, come se i dettagli andassero a formare un unico racconto. In un certo senso si potrebbe usare una parola abusata come “narrazione” per definire un disco che è anche un autentico viaggio tra città  lontane e relazioni in cui mettersi totalmente in gioco.

L’uomo, essendo contemporaneamente partecipe di molti, troppi mondi, non ha un mondo determinato e perciò non ha nessun mondo.

Perchè oltre alle riflessioni di G. Anders, non dimenticando l’influenza senza ritegno dell’apparenza che schiaccia i contenuti, c’è una speranza utopica positiva. Si torna così a ricadere nella filosofia con la figura di Ernst Bloch, intellettuale grandioso che ha scritto pagine sublimi legando musica ed utopia. Per il pensatore il suono rappresenta “un limite, il dolore e insieme la nobiltà  dell’umano”; la più utopica delle arti è una sfida alla morte.
La divagazione filosofica non è un vezzo di chi recensisce, ma un tentativo di entrare più a fondo in un disco che come tutti i precedenti ““ non potrebbe essere altrimenti – ha forti legami con la materia.
In “Where Are You Now” ad esempio troviamo pezzi intitolati “Theodor W. Adorno” e “Karl Marx Song”, due cavalcate altamente liberatorie che sprigionano un’energia fuori dal normale.
La pienezza raggiunta lascia una traccia indelebile, si tasta con mano la capacità  totalitaria di svelare l’assenza di compromessi ricomponendo nelle differenze la stessa storia fatta di relazioni umane in evoluzione. Dopo il singolo “Death Of A Manifesto”, saper allacciare voci femminili ormai non è più una sorpresa, e “Theodor W. Adorno”, pelle d’oca, tocca ai territori sconfinati di “Ain’t No Magician”. Vento ghiacciato in faccia e ricerca di un’identità , azione che attualmente pare un crimine in un mondo che cerca di bandire differenze e conflitti. Il pezzo in questione spinge all’estremo la desolazione, il loop di sottofondo è attutito e via via si stratifica. Anche se i minuti di canzone si allungano ritornano alla mente vecchi pezzi come “Stasi”, ricordi di Bratislava e di Petržalka, il NovའMost, ponte che la unisce al centro. Nel finale le sensazioni cambiano, arriva la luce ed una corsa sfrenata verso chissà  cosa.
“Alma M” è un gioiello che segue standard altissimi, le parole di velluto scandiscono il ritmo al pari delle linee musicali. Le chitarre e gli effetti di “The Last Big Impezzo” toccano picchi emotivi difficilmente raggiungibili altrove, in ogni sua parte – il confine tra generi è ancora una volta labile – si può parlare di capolavoro onde evitare quelli che sarebbero solo inutili giri di parole.
“Tallinn” è un altro velo che nulla copre, l’eco lontano e un’epica montante portano dritti nella Repubblica Baltica. Uno di quei posti che non riesci a trovare sulla carta geografica, le rappresentazioni di un frazionamento e la fine di una grande utopia trasformatasi nel tempo in mattatoio. Il loop e le micro variazioni garantiscono il ritorno al punto di partenza, è possibile riavvolgere il nastro del tempo?
“The Man Who Sold The Hype” è spezzata quasi a metà , un chiacchiericcio schiude le porte ad uno spettacolo abbagliante. Per la lista delle collaborazioni potete cercare recensioni più didascaliche o comprarvi il disco e leggere il book che sicuramente ci sarà . Il tintinnio, la voce femminile come sempre perfetta e una risposta alla domanda precedente: non si torna indietro.
“Karl Marx Song” è un colpo assestato al basso ventre, quando si sta per chiudere il match. Un cerchio che si chiude e si stringe sull’ascoltatore rafforzandolo con i suoi crescendo estatici e poderosi. Le pause luccicano, è il suono di un’utopia inarrivabile, una purezza ormai irraggiungibile e storpiata dalla violenza.

Ascolto dopo ascolto si viene arricchiti, ed è come quando nelle imprese sportive più straordinarie si finisce con il premiare lo sconfitto con la frase retorica “ha dato tutto”. Togliendo la patina di conformismo è più o meno la stessa sensazione che rimane, “Where Are You Now” ci racconta che probabilmente possiamo anche perdere, ma consumare ogni energia residua è l’unica nostra arma a disposizione per resistere.