L’esordio su lunga distanza dei The Pier promette molto. Si tratta di una formazione attiva da circa tre anni, in primis in una serie di performance live su palchi locali, a fianco di artisti quali Gazebo Penguins, Marlene Kuntz, Tre Allegri Ragazzi Morti, Boxerin Club e in ultimo Battles, nel corso dell’ultima edizione de L’Acqua in Testa.

Scrivere del grande onore di aprire il supergruppo americano toccato in sorte ai tre giovanissimi molfettesi non è fuori luogo in questa sede, laddove è chiaro che è al cospetto di mostri sacri quali Ian Williams (già  Don Caballero e Storm & Stress) che l’opera dei The Pier si inchina e trae auspici. I ragazzi fanno bene, si capisce, ma questo è sin troppo scontato per una band che esibisce senza troppi problemi l’influsso di ascendenti post-hardcore e math. Fin qui tutto ok.

La vera novità  della band consiste nell’aver elaborato un linguaggio suo proprio fondendo quelle influenze, alte e nobili, ad una serie di altri motivi e sonorità , appartenenti sempre al calderone ampio dell’alternative rock, ma forse più crude, più sporche, e ad una certa concisione dei brani, che alla distribuzione nei circuiti indie italiani è certo ben congeniale. Ne deriva un lavoro tagliente, duro, ma estremamente dinamico, come un sasso lanciato nel tumulto di correnti imprevedibili, sulla superficie ancora il sale della prima onda adolescenziale.
L’ascoltatore dell’album di debutto dei The Pier si troverà  catapultato nel corso dello stesso brano in una successione rapidissima di scenari differenti, ora dirompenti, ora oscuri, ora elegiaci, a volte aspramente contrapposti, a volte configurati come felici riformulazioni degli impianti melodici già  ascoltati qualche secondo prima. Il tutto legato a una padronanza degli espedienti ritmici e di tempo e a una vera vocazione per le figure dispari e irregolari, tale da farci dire che varrà  la pena continuare a seguirli nei tempi a venire. Qualche ingenuità  la si può leggere in quel distorto a volte troppo rumorosamente marcato (se ronzasse di meno, in alcuni punti si potrebbe forse meglio apprezzare la precisione delle chitarre), marchio della produzione dell’album, e infine nella relativa scarsa durata della pubblicazione: sono tiratissimi ma pur sempre 27 minuti.

“Elm Row” si innesta su poderose urla inaugurali, che tanto ricordano i già  citati Gazebo Penguins (torneranno nel secondo brano e in un po’ tutto l’album), e continua su un tempo misto, 7/8 e 4/4, come in una ripida discesa che porta al botta e risposta tra chitarra e basso, scuro tappeto ruvido per un crescendo di voci e cori. “Every Day Gets Worse” è la colonna sonora ideale per tre punk che si incontrano come vecchi amici, al parco come al pub, e caricano di overdrive la loro acustica, mettendosi poi a lanciare ululati nell’aria. Grintosa e sostenuta, tradisce una malinconia che il titolo aveva preannunciato. Con la traccia numero tre ci si inoltra nel dittico forse più di valore dell’album, quello di “Exit Flowers” e “SKK9”. La prima è sinuosa, a tratti melliflua, e si spalanca nel ritornello, dove a sovrastare accordi ipnotici come sarcofagi schiusi si solleva un soffio volatile di melodia, quasi un fuoco fatuo psych-soul. La chitarra poi piega in basso, si ritorce su di sè in armonici intimistici e prepara il suolo a un solo abissale di synth, con in chiusura cori profondi come anfratti. SKK9 riesce ad essere pop ed insieme potente, sembra ammaliare coi suoi ritorni chitarristici e i rimbalzi elastici della voce, infine esplosiva. Segue una coda dolce come una nenia, soffocata a fine battuta da strumming abrasivi, rivolte contro l’armonia costruita.

“Kangoo” è una marcia e un inno, rigogliosa come un arbusto giovane in una steppa assolata, “Daedalus” è nera pece e ricopre le pareti di un labirinto che sino a metà  brano sembra citare i tostissimi Verdena di Requiem, con tanto di piatti divelti e mandibola sublussata. “Pier” è un canto da battaglia navale, poi un gioco tecnico di melodie che richiama i più recenti Battles, al termine un respiro di sollievo, di chi si è salvato su prode sicure e cerca i propri compagni. Il sollievo si trasforma in rabbia e sgomento per chi è caduto in mano ai nemici, cantati con forza sino alla fine.