Non sono stati due anni di riposo, per Katie Crutchfield in arte Waxahatchee. Dopo il successo di “American Weekend”, “Cerulean Salt” e “Ivy Tripp” si è trovata a dover gestire il classico turbinio di viaggi, concerti, mesi on the road senza pause (avrebbe dovuto partecipare anche al Lenny IRL Tour di Lena Dunham lo scorso maggio prima che venisse cancellato). Un periodo in cui, come lei stessa ha confessato, l’unico modo di gestire emozioni e sentimenti era quello di scrivere canzoni. A getto continuo, in modo quasi compulsivo. “Out In The Storm” nasce da questo bisogno di esprimersi, di buttare fuori tutto e in fretta. Un album che parla di chi ha perso la strada per troppo viaggiare e deve imparare ad affrontare situazioni che sembrano gigantesche. Insormontabili. “American Weekend” e “Cerulean Salt” provavano a fare i conti con le ferite e i drammi di un’adolescenza ormai finita ma ancora fresca nei ricordi. “Ivy Tripp” sembrava un nuovo inizio gioioso, nevrotico, imperfetto e pieno d’energia.

“Out In The Storm” invece è la cronaca spietata di quella terra di mezzo che va dai trenta ai quaranta anni. Quando di illusioni ne restano pochine e si comincia inesorabilmente a fare i conti con se stessi. Prodotto da John Agnello (Sonic Youth, Dinosaur Jr.) e dalla stessa Katie Crutchfield è un break up record grintoso, vulnerabile, più rock che in passato (“No Question”, “Never Been Wrong” e “Silver” lo dimostrano). Sono cresciuti insomma, i ragazzi di “Brother Bryan”. Quelli che aspettavano il futuro fumando finchè le tasche non erano vuote. E’ una donna più forte questa nuova Katie che ormai si è lasciata l’adolescenza alle spalle e non ha più paura di sbagliare, di cadere e di sanguinare se serve. Come tempo fa è successo a Laura Marling ai problemi reagisce imbracciando la chitarra elettrica, attaccando la spina e scegliendo la musica come terapia. Aiutata dalle amiche di sempre (Katie Harkin, Katherine Simonetti, Ashley Arnwine) nell’ennesima incarnazione di un progetto che di strada ne ha fatta tanta. Immancabile la sorella gemella Allison Crutchfield, a cui sono dedicate due righe di “Sparks Fly”: “And I see myself through my sister’s eyes / I’m a live wire, electrified“.

La maturità  artistica e personale di Katie Crutchfield però è simboleggiata soprattutto dai momenti che non ti aspetti: il testo di “8 ball” e quello di “Brass Beam”, la leggera distorsione di “Hear You”, “Recite Remorse” (ballata minimale che lascia il segno) e la leggerezza unplugged di “A Little More” e della commovente “Fade”. Brani che fanno intravedere dove potrà  arrivare in futuro questa piccola, grande ragazza dell’Alabama trapiantata a New York. E’ cresciuta, Katie e se n’è venuta fuori con un album intrigante, che rinuncia all’attitudine DIY per un suono più pulito, fresco, che non inventa nulla ma conferma il talento di Miss Crutchfield. Una dichiarazione d’indipendenza, una microscopica guida al femminile per giovani adulti da tenere dentro un cassetto e da tirare fuori quando serve.