Tra la seconda metà  degli anni Novanta e i primi Duemila, Boston venne messa a ferro e fuoco da un folto gruppo di band metalcore che, lontane dalla solare Los Angeles o dalla cosmopolita New York City, impressero un marchio indelebile sull’evoluzione del genere nel nuovo millennio. Un suono pesante, cupo e rabbioso emergeva dagli scantinati della città  del  Massachusetts; tra i suoi migliori interpreti si imposero i veterani  Converge del tatuatissimo frontman  Jacob Bannon che, con l’album  “Jane Doe” del 2001, realizzarono uno degli ultimi veri e propri grandi classici moderni della musica estrema. Un lavoro acclamato da pubblico e critica, in grado di plasmare tutta una nuova generazione di artisti di livello internazionale come Code Orange,  Cancer Bats,  Trap Them Harm’s Way.

16 anni dopo l’uscita del loro indiscusso capolavoro, i Converge sembrano aver ormai accettato il ruolo di padri nobili della scena hardcore a stelle e strisce. Sarà  per questo fatto che nell’ultimo lustro i membri della band hanno preferito dedicarsi ad altri impegni: Bannon ha avviato un ambizioso progetto solista chiamato Wear Your Wounds;  il chitarrista Kurt Ballou ha prodotto gli ultimi album di  Russian Circles,  Chelsea Wolfe Nails; il bassista Nate Newton  è tornato a collaborare con il supergruppo bostoniano  Old Man Gloom; e il batterista Ben Koller  ha preferito esplorare i territori metal di  Mutoid ManKiller Be Killed. Tutte queste esperienze hanno senza dubbio contribuito a far crescere ulteriormente la band, che con il nuovo  “The Dusk in Us” dimostra ancora una volta di essere una delle realtà  più interessanti e originali dell’enorme calderone post-hardcore/metalcore statunitense.

La furia è ormai domata ma è tutt’altro che sparita:  “Eye of the Quarrel”,  “Wildlife”, “I Can Tell You About Pain” e “Cannibals” sono fulminanti cazzotti in faccia che sembrano voler riportare i Converge alla Boston underground di una ventina d’anni fa. Ma Bannon e soci non hanno mai amato ripetere sempre la stessa formula, e anche questa volta riescono a contaminare la loro proposta con sonorità  e soluzioni inedite. Che sia l’industrial di  “Under Duress”, il crust di “Broken by Light”, il mathcore ipertecnico di  “Arkhipov Calm”, lo sludge metal orientaleggiante di  “Reptilian” o i vaghissimi richiami al post-punk di  “A Single Tear”, questo nona prova in studio trova il suo punto di forza nell’estrema versatilità  del songwriting e nelle intensissime performance dei quattro esperti interpreti. Le grandi sorprese sono la title track e “Thousands of Miles Between Us”, due insospettabili e suggestive ballads elettriche in cui Jacob Bannon mostra di essere a suo agio anche con melodie suadenti e atmosfere più rilassate.

I Converge non si sono dati una calmata con l’avanzare dell’età ; hanno però cominciato a razionalizzare la loro rabbia e a conferirle una forma più definita, ma molto meno genuina.  Le tredici tracce che compongono  “The Dusk in Us”, un album crepuscolare già  a partire dal titolo, rappresentano una nuova tappa nell’evoluzione sonora dei quattro quarantenni del  Massachusetts; i tempi d’oro dell’impressionante “Jane Doe” saranno pure lontani, ma la voglia di dare il massimo rimane sempre la stessa.