Tornano in Italia per una data milanese The Fratellis, a conti fatti uno dei gruppi “minori” dell’ondata revival del brit pop-rock a metà  degli anni zero. Una sorta di risposta allo stesso revival made in USA capitanato dagli Strokes all’inizio della decade scorsa. Pescando dal mazzo un po’ a caso, penso ai Franz Ferdinand, agli Arctic Monkeys, ai Bloc Party e tanti altri; chi più chi meno ha dato una forte linfa alla rinascita, se così possiamo chiamarla, del pop-rock in Gran Bretagna. Come detto sopra, tra i “minori”, anche se è brutto scrivere così, ma quantomeno rendo l’idea, ci sono i Fratellis, minori perchè, boh, per qualche motivo non sono riusciti ad imporsi come avrebbero voluto, sebbene il loro disco d’esordio ebbe un’ottima cassa di risonanza, quel “Costello Music” uscito nel 2006 che li portò velocemente sugli scudi. Da li in poi, in generale, un anonimato preoccupante, un secondo album non all’altezza, un terzo, un quarto e addirittura un quinto album che non hanno avuto l’iter del fortunato primo capitolo.

In effetti in quel “Costello Music” di canzoni “fighe” ce n’erano e lo sanno bene i tre scozzesi che stasera concentrano gran parte della scaletta sul loro personale masterpiece: non mancano quindi la stupenda “Whistlle for the choir”, che puzza di Arctic Monkeys sebbene uscita nello stesso anno dell’esordio di Alex Turner e soci (anche se a qualche mese di distanza). Puzza o no, è un brano pazzesco, da ascoltare a ripetizione, ovviamente “Henrietta” la seconda in scaletta, l’incalzante “For the girl” che, a sua volta, puzza di pub marcio (e la cosa non dispiace affatto!) e ovviamente non poteva poi mancare la loro hit per eccellenza, quella “Chelsea dagger” che li portò alla ribalta, il classico brano della vita.

La setlist pesca qualcosa, com’è normale che sia, anche dall’ultimo disco (uscito per altro quest’anno), che risulta essere la loro cosa migliore dai tempi d’oro, con un’ottima “Sugartown” e un’altrettanto “Starcrossed losers” ma anche un’emozionante “Laughing gas” eseguita solo chitarra e voce prima del gran finale. Il disco nuovo è un lavoro più maturo, adulto e se vogliamo più raffinato; pressochè ignorato il secondo disco quel “Here We stand”, che avrebbe dovuto essere l’album della consacrazione e che invece non è stato: quanto è importante il secondo disco per un progetto? Molto, è quello che ti fa fare il salto o ti fa retrocedere.

In conclusione direi: probabilmente un concerto non imperdibile, non quello per cui devi rosicare per giorni se non ci sei potuto andare, ma al tempo stesso, una band onesta, sincera, che si diverte sul palco, senza risparmiarsi; non pensavo, sinceramente, anche per il costo elevato del biglietto, di trovare la sempre piacevolissima Santeria piena zeppa, azzardo un quasi sold out. Certo, non parliamo di una grande capienza, ma è pur sempre un ottimo risultato, per una band scomparsa dai radar da tempo, almeno dai miei.

Photo Credit: Drew de F Fawkes, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons