In un periodo come questo, che va avanti da un po’ a dire il vero, segnato da una iperproduzione musicale nella scena indie/alternative, per non parlare di tutto il filone post-punk, i lavori migliori il più delle volte provengono da ambienti mainstream o comunque dai vari colossi senza tempo, vedi Depeche Mode, Peter Gabriel, Blur e da ultimo anche i The Church, giusto per citarne qualcuno.

Credit: Danny Clinch

Devo essere sincero, nutrivo la speranza di includere nell’elenco di cui sopra anche quest’ultima fatica dei Pearl jam, soprattutto dopo l’uscita della title track che, a parer mio, non è affatto una cattiva canzone come letto da più parti.

Purtroppo, l’uscita del dodicesimo album dei “dinosauri” di Seattle ha tradito in un certo senso le aspettative relegando questo “Dark Matter” tra gli ascolti meno frequenti. E da fan di Vedder e soci vi assicuro che è difficile dirlo.

Nemmeno l’esplosivo duetto d’apertura, formato da “Scared of Fear” e dalla punkiana “React, Respond”, è riuscito a fare presa nella mia anima da “grunger”, facendomi piombare in un climax avvolto da tiepida tristezza ma da tantissima malinconia.

Anche se musicalmente il nuovo disco riprende il sound tracciato da “Gigaton”, non condivide con quest’ultimo la dovuta potenza e soprattutto la produzione facendolo di gran lunga preferire al neolavoro, a mio modo di vedere, praticamente su tutto. Complice anche la richiamata produzione affidata al giovane Andrew Watt (Ozzy Osbourne, Rolling Stones) che già abbiano avuto modo di conoscere in occasione dell’album solista di Vedder , “Earthling” del 2022.

Anche in “Dark Matter” ho ritrovato quel mood che proprio non sono riuscito a digerire nonostante nella tracklist siano presenti ottimi pezzi come il midtempo di “Wreckage”, con il suo incedere southernblues, ma anche il pop rock di “Won’t Tell” e, soprattutto “Waiting For Stevie” composta in studio da Eddie mentre aspettava Stevie Wonder per realizzare un duetto nel cennato album solista.

La voce di Vedder non sembra perdere colpi come anche le chitarre di Gossard e McCready che deliziano con ottimi riff ancorché a volte sembrano voler essere solo dei riempitivi come ad esempio nei finali del richiamato binomio di apertura, come anche in “Got To Give”.

Nulla da eccepire per quanto riguarda la sezione ritmica affidata a Jeff Ament e Matt Cameron, soprattutto quanto c’è bisogno di alzare i decibel come nei poco più dei due minuti della tiratissima e poderosa “Running”. I minuti diventano quasi sei invece nella “sperimentale” e ipnotica “Upper Hand” che si candida tra le migliori del full-length e fa da contraltare alla dimenticabile “Something Special”…siamo sicuri che siano i Pearl Jam?!

La rassicurante e toccante “Setting Sun” mette il sigillo a “Dark Matter”, un disco che raggiunge senza alcuna fatica la piena sufficienza, ed anche qualcosina di più, ma che ben poteva essere un disco migliore per una storica e longeva band come i Pearl Jam.