Cara dolce Molly. E’ un piacere farsi catturare dallo stile e dal mondo sonoro retrò di questa fanciulla, che già  con l’esordio ci aveva conquistato. Ecco, possiamo dire che rispetto a quell’album svanisce, per ovvi motivi, l’effetto sorpresa, ma rimane la capacità  assoluta di scrivere belle canzoni, fuori dal tempo.

Punto di non poco conto è l’uso della voce, che ora è padroneggiata in modo eccelso, ricca di sfumature e tonalità  cangianti, mentre l’andamento sonoro si fa morbido e, spesso, in aria di bossa nova, con tinte solari e aggraziate, come se ci trovassimo su spiagge hawaiane al tramonto, in attesa della nostra ghirlanda di fiori al collo (“First Flower” su tutte). C’è meno country-folk rispetto a “Please Be Mine” e, tutto sommato, questo non ci dispiace.

Andature sbarazzine (“Wild” o “True Love”) trovano il giusto contraltare in perle di fascino misurato e delicato (“Good Behaviour”, “Every Little Thing”).

Nei testi Molly mette in luce la solita anali introspettiva e personale: candide dichiarazioni d’amore che si alternano alla necessità  di affermare la propria personalità  (“I don’t need to scream to get my point across. I don’t need to yell to know that I’m the boss“), tanto quanto ad ammissioni di solitudine e difficoltà  nel rapporto di coppia.

Ci sarà  ancora chi tirerà  in ballo la contemporanea Angel Olsen, così come mostri sacri del passato come Nina Simone o Jane Birkin. Poco male. Non ci si sbaglia. Noi valutiamo Molly per la sua capacità  di emozionarci e di prenderci per mano con una semplicità  che, dietro a un sorriso, a volte solo accennato, nasconde però un mondo empatico più elaborato, che merita di essere scoperto.