Non si può certo dire che Carmelo Pipitone ami starsene con le mani in mano.

Al culmine di un 2018 assai intenso e produttivo grazie soprattutto alla sua esperienza con i Dunk (super-gruppo in cui sono confluiti oltre a lui altri alfieri dell’indie rock nostrano, dai fratelli Giuradei a Luca Ferrari dei Verdena e per ultimo pochi mesi fa anche Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz), capaci di mettere d’accordo critica e pubblico con il loro interessante disco d’esordio (a detta di chi scrive, tra i migliori album italiani dell’anno), ecco che il Nostro se ne esce con “Cornucopia”, il suo disco d’esordio.

La cornucopia, simbolo di abbondanza, nel caso di Pipitone si declina ovviamente dal punto di vista artistico, considerata appunto la sua grande produttività  messa in campo quest’anno ma non solo. Oltre infatti al suo grande contributo nel gruppo madre Marta sui Tubi, di cui è co-fondatore e autore, dal 2014 ha anche militato negli O.R.K., altro interessante side-project, votato all’avanguardia. Di quell’ensemble, cui fa parte anche Colin Edwin dei Porcupine Tree, ha voluto al suo fianco per questa opera solistica il cantante e tastierista Lorenzo Esposito Fornasari, che qui ha curato produzione, mix e mastering.

Quello che emerge dagli 8 brani che compongono “Cornucopia”, è soprattutto un’urgenza creativa e comunicativa, come se queste canzoni aspettassero solo il momento giusto per uscire e volare leggere. Oddio, proprio leggeri non sembrano essere i temi scelti, visto che per vie metaforiche ma al contempo utilizzando immagini anche forti e viscerali, Carmelo Pipitone ci disegna il viaggio di un uomo attraverso inferni e paradisi.

Nelle note spiega che “Questo è il breve viaggio di un piccolo uomo tra i vicoli sporchi di una città . è anche il racconto di un condannato a morte dalla vita, che viaggia nel tempo per raggiungere e combattere Dio.”

E musicalmente questo album non poteva che essere altrettanto ondivago, a tratti frenetico e urticante, ma pure in grado di regalare momenti di ammaliamento puro, come nella conclusiva strumentale “Sospeso”, che giunge a riappacificare l’uomo con il mondo, anche se l’epilogo del viaggio lo condurrà  allo svanire.

E’ indubbio che qualcosa dei Marta sui Tubi si possa avvertire ma il tocco unico, originale che qui Pipitone vuole lasciare lo si coglie appieno. Il songwriting è spiazzante, sin dalle prime note d’apertura dell’onirica “Talè”, mentre la successiva “Vertigini a cuore aperto”, non a caso scelta a rappresentare il disco, è alquanto emblematica del tono generale e dell’atmosfera cui sarà  permeato il tutto. Avanza con passi tribali e inquieta, con il canto di Carmelo ad avvolgere e cullare ma pure a intimorire.

“Il potere” a mio avviso è il suo apice, ed è sin troppo facile sentire echi di Vinicio Capossela. La chitarra acustica la fa sempre da padrona ma lo strumento è come “maltrattato”, e gli arabeschi che ne scaturiscono sono entusiasmanti. Più lineari a livello musicale “L’acqua che hai ingoiato” e “Attentato a Dio” che come in un vero concept sono propedeutiche a seguire il viaggio evocato dall’autore e che culmina nella placida e suggestiva “Meglio andare” dove è presente anche la voce di Lorenzo Esposito Fornasari (LEF).

Ogni canzone contiene una tensione e un alone di mistero, passa breve e fulminea (tutti i brani, eccetto “Vertigini a cuore aperto” e “Meglio andare”, stanno sotto la soglia dei 3 minuti), a esemplificare quell’urgenza comunicativa cui si faceva riferimento.

A essere lacunosa è semmai la componente puramente melodica ma più che un qualche appeal radiofonico, a Pipitone interessava lasciare all’ascoltatore un messaggio forte, un’impronta decisa e affilata.

C’è riuscito con assoluta naturalezza, brio, estro e quel carisma che da sempre è in grado di emanare.