No, “Heard It in a Past Life” non è il primo album di Maggie Rogers. è, tuttavia, il primo a non essere concepito e registrato in un ripostiglio per le scope, come accaduto per i precedenti “The Echo” (2012) e “Blood Ballet” (2014). La differenza si sente. Si avverte la presenza di Capitol Records, nuovo label di Rogers, giunto a lucidare il suono dell’artista sin dal lancio dell’EP “Now That the Light is Fading” (2017).

In effetti “Heard It in a Past Life” è un centro assoluto dal punto di vista del marketing. A mancare, però, sono la spontaneità  e la profondità  di cui Rogers ci ha dato prova nei lavori precedenti. Un dettaglio su tutti sorprende: a non essere invitato alla festa dell’improvvisa notorietà  è lo strumento di predilezione della “vecchia” Maggie Rogers. Il banjo, infatti, onnipresente nei precedenti album dalla vena electro-folk, scompare magicamente e lascia spazio ai synth ed ad una netta esplorazione indie-pop, a tratti dance. è un viaggio di scoperta, Maggie ce l’ha ripetuto all’infinito. Non c’è da sorprendersi, quindi, se ci si ritrova un po’ spaesati durante l’ascolto di “Heard It in a Past Life”. L’artista, dal canto suo, fa di tutto per metterci in guardia fin dall’inizio: “Things get strange/But I’m all right.”

Predominante nell’album è la tendenza synth-pop dance di alcuni brani come “Give a Little”, “Overnight” e “On + Off”. Mentre, inaspettatamente, “The Knife” e “Retrograde” strizzano l’occhio ad una musicalità  prevalentemente anni ’80. “Alaska”, invece, non trova veramente una collocazione felice all’interno dell’album. Molto probabilmente perchè questa canzone da sola è una montagna e non può essere contenuta in un artificio costruito ad hoc, ovvero “l’album della celebrità “. Semplicemente “Alaska” appartiene a tutt’altra storia e non è replicabile

Il vero perno attorno al quale ruota l’intero album è, probabilmente, “Light On”. è questa la canzone che racconta davvero la nuova Maggie Rogers e tutti i traguardi conquistati incredulamente dal 2016 ad oggi. Una piccola gemma in sè, un vero e proprio inno alla vita che cambia, spesso, troppo rapidamente. Il brano non è nient’altro che una lettera d’amore ai fans ed a tutti quelli che le hanno teso la mano lungo il percorso.

“Fallingwater”, al contrario, costituisce il brano più cupo e visionario di “Heard It in a Past Life”. Paura ed elettricità  attraversano il corpo della cantante come fluidi e contribuiscono ad animare il suo grido di battaglia. Il lirismo di “Fallingwater” racconta le profonde emozioni provate da Rogers. Emozioni che, come la sua improvvisa celebrità , le sono piombate addosso impetuose come un torrente.
“Heard It in a Past Life” è al contempo la fine e l’inizio di un viaggio. Suoni piegati e ripiegati, ricordi gelosamente custoditi e stimolanti orizzonti inesplorati, nell’ultimo album di Maggie Rogers c’è tutto questo e molto di più. è quasi come se, negli ultimi due anni, l’artista avesse preso un compasso ed avesse delineato, con calma e determinazione, i tratti fondamentali da includere nel suo primo disco sotto i riflettori. Vita, strada, natura e cambiamento perenne sono i cardini perfettamente calcolati di “Heard It in a Past Life”. Certo, il cerchio finale disegnato dalla cantante non risulta perfetto, ma sprigiona una tale forza e vitalità  che non si può far altro che applaudirne la coerenza e la compattezza sonora.