di Alessandra Battaglini

A volte bisogna fermare la nostra corsa e avere a che fare con il senso di perdita, ed attraversarlo fino in fondo come un vero e proprio viaggio. Sono consapevolezze antiche forse anche più del dono della parola, che la vita quotidiana non incentiva nè accoglie molto.

Alcuni intraprendenti artisti (intraprendenti sia verso la propria interiorità  che verso l’esterno) riescono ad afferrare al volo questo sbattere di ali di corvo (l’ingombrante corvo che nella storia che ha ispirato il disco rappresenta il lutto e costringe ad affrontarlo) e afferrare anche la nostra anima per portarci con sè, tanto che non sai più se la vicenda di cui si parla non sia forse anche la tua.

Teho Teardo definisce questo il suo lavoro più oscuro, il che non vuol dire negativo o pessimista, l’oscurità , il dark side, è la scelta di un’angolazione da cui guardare la realtà  (d’altronde senza ombra come potremmo vederelo spessore e la profondità  delle cose?)

Tra l’altro, come lui stesso racconta, la nascita di questo lavoro, la scintilla scoccata tra lui e il regista Enda Walsh, che parallelamente si erano interessati e lasciati ispirare dallo stesso romanzo di Max Porter, l’apparente casualità  che è in realtà  un trovarsi, mi sembra intrisa di qualcosa simile ad un ottimismo, magari più sentimentale che razionale.

E mi sembra che il prolifico Teardo possa anche dare una spinta ed un esempio a tutti, di ottimismo non solo di sentimento ma di volontà , quando sottolinea che proprio nel momento in cui non ci piace quello che accade intorno nella società  e nel mondo, a maggior ragione dobbiamo metterci del nostro, fare e dire ancora di più.

Un lavoro sul lutto (dovuto alla perdita della moglie da parte del protagonista, padre di due bambini, rappresentato in teatro e sulla copertina del disco da Cillian Murphy), un lavoro che riesce ad essere catartico in otto brani e in poco più di mezz’ora totale di ascolto. Abbozzato come dicevamo in seguito all’incontro con il libro, sviluppato in relazione alla messa in scena teatrale (da quello che so, sempre sold out a Londra), ma fatto per avere poi vita propria e indipendente.

Come sempre Teardo raggruppa attorno a sè talentuosi musicisti: Laura Bisceglia, Giovanna Famulari al violoncello, Ambra Chiara Michelangeli alla viola a al violno, Vanessa Cremaschi ed Elena De Stabile al violino, Susanna Buffa alla voce, Elena Somarè al fischio, Gabriele Coen al clarino basso e al clarinetto, Joe Lally (dei Fugazi, straordinario musicista che, si sottolinea, ha dovuto andare all’estero per essere adeguatamente apprezzato). Teardo si occupa “un po’ di tutto il resto”: rhode, celesta, chitarra, molle, organo ecc….

L’ascolto inizia con uno shock, un colpo frastagliato vibrato dai violoncelli, violento e cupo, poi mentre il tempo ticchetta indifferente agli strappi dell’anima il violino fa dilagare la malinconia e il senso di ineluttabilità  e la voce, non articolata in parole ma usata come puro suono, evoca una giocosità  rimasta a saltellare nelle orecchie mentre con i diversi strumenti sembra di assistere ad entità  più o meno corporee che si rispondono, per arrivare poi a sovrapporsi come a farsi l’una aura dell’altra, dove nel secondo brano c’è un’immobilità  attorno cui ruota tutto quello che non si riesce a lasciar andare, quasi non ci si azzarda a respirare per non far cadere dalle spalle il mantello dei ricordi e trovarsi nudi di fronte a un mondo divenuto estraneo.

“London Offered Us Possible Mothers” che è anche il brano pubblicato in anteprima e sembra rappresentare un picco di questa avventura umana, ci immerge in elementi più eterei e altri più quotidiani che si fondono in un crescendo emozionante; sembra il movimento inevitabile delle faccende quotidiane, che arriva e ci strappa via a unghiate la coperta, “le cose da fare ogni giorno” che diceva Rodari, lo scorrere della vita delle strade che ci affanna e ci muove, il fiume che potrebbe portare qualcosa o qualcuno ad impigliarsi alla nostra vita.

Ritorna poi il tempo sospeso, con rarefazioni e attriti, cerchi concentrici ipnotici, è un ripetuto altalenare da uno scuotimento da fuori che ti fa perdere il centro al ritirarsi in un’immobilità  interna, una spirale di cose che ruotano e non si sa se verso l’alto o verso il basso.

“Hop Sniff and Tackle” quasi in modo crudele ma irresistibile rimette in moto le spinte vitali con energiche pulsazioni, nonostante gli archi sotto continuino a piangere sempre più flebilmente, finchè ormai al terzultimo brano sembra quasi di raggiungere una quiete dopo la tempesta, si va verso sensazioni più giocose, serene, meneo combattute, un morbido abbraccio di accettazione, non si resiste più e ci si arrende. Tuttavia la chiusura è dissonante e dà  la sensazione di un un cavo d’acciaio teso nelle proprie profondità : la perdita si riaffaccia sempre, col suo monito che non se ne andrà  mai e farà  sempre parte di noi, resterà  sempre un po’ a corrodere, l’innocenza è perduta, tuttavia si può anche salutare il passato senza avere paura che ci divori totalmente.

Così negli ultimi due brani si raggiunge una pienezza narrativa complessa e corale (tra cui si fa notare come particolare di grande personalità  il fischio melodico di Elena Somarè), sembrano esserci tutte le voci, gli elementi, e tutti i momenti della storia a coesistere, passato presente e futuro si ricompongono come un insieme vitale (effettivamente vari frammenti dei precedenti brani vengono nella parte finale riutilizzati e ricombinati).

Un disco di indubbia bellezza, amabile anche eventualmente senza sapere nulla della storia, però sono contenta che mi abbia contaminato tanto da aver voglia di leggere il libro, e continuare ad esplorare questo percorso di legami, rimandi e richiami.

Il viaggio, ci dice ancora Teardo, non si conclude all’interno di un disco, alcuni elementi sono già  destinati ad essere ripresi nel prossimo. Il tutto, con una definizione originale e che mi ha colpito molto, come “una specie di parafrasi di sè stesso”, mai conclusa.