di Stefano Bartolotta

Quando una band torna sulle scene dopo anni di silenzio, non è mai facile immaginare quante persone si presenteranno ai suoi concerti, e quale sarà  l’intensità  della partecipazione dei presenti. Gli Art Brut non hanno mai mosso grandi masse di gente qui in Italia, ma la loro fanbase si è sempre mostrata molto devota al culto di Eddie Argos & co. Alla prova dei fatti, il Magnolia è tutt’altro che affollato, ma la possibilità  di fare il concerto sul palco più piccolo rende la sala piena il giusto, e soprattutto, ognuno dei presenti dimostra di essere venuto non certo per fare tappezzeria, ma per rinnovare a pieni polmoni il proprio amore per la band.

La serata è aperta da Brenneke, che si esibisce voce e chitarra davanti a un manipolo di persone che prevalentemente già  lo conoscono e sono venute presto apposta per lui. Il songwriter di Busto Arsizio non può mettere in mostra, in questa veste, il gran lavoro sui suoni che caratterizza il secondo disco “Nessuno Lo Deve Sapere”, ma può far risaltare gli altri pregi del proprio repertorio, ovvero lo sviluppato senso melodico, il timbro vocale espressivo e in perfetto bilanciamento tra pienezza e leggerezza e testi mai banali ma nemmeno pretenziosi. Il pop moderno e autoriale di Edoardo Frasso si dimostra essere un gran bel sentire anche in questa veste scarna, e il fatto che ci sia un buon numero di date live in programma prossimamente e che finalmente verrà  stampato il cd del disco fa sperare che questo artista possa ricevere l’attenzione che si merita.

Gli Art Brut si presentano sul palco in formazione profondamente rinnovata rispetto a quando venivano in Italia più spesso. L’unica presenza fissa accanto a Eddie Argos è sempre stata la bassista Freddie Feedback, ma anche lei è assente, e Eddie svelerà , nel momento della presentazione della band, che non c’è perchè è diventata mamma. In ogni caso, i quattro musicisti, pur arrivati in momenti diversi all’interno della storia, non sempre semplice, del gruppo, incarnano ottimamente quello che è sempre stato lo spirito degli Art Brut: chitarre ficcanti, ritmica incalzante, backingvocals efficaci, attitudine rilassata e attenzione nell’andare dietro all’estro performativo del leader. Come e più di sempre, è Eddie al centro di tutto: il suo fiume in piena di parole, la sua presenza unica sul palco e il suo dialogo col pubblico adorante sono il motore dello show, ed è giusto che la funzione degli altri membri del gruppo sia quella di valorizzare al meglio i suddetti punti di forza.

Eddie scherza sul tempo che è passato modificando opportunamente un paio di testi dei suoi vecchi cavalli di battaglia “Formed A Band” (nella quale il “we’re just talking to the kids” diventa “we’retalking to people in theirmid 30s“) e “My Little Brother” (con il “tape of bootlegs and b-sides” che diventa una “YouTubeplaylist“), cerca in un paio di occasioni di sfoderare un improbabile italiano (una delle quali è quando tenta di cantare la citata “My Little Brother” nella versione dei TARM), chiama il pubblico allo scambio avanti-indietro dell’ululato di “Too Clever” e, in momenti inaspettati, urla semplicemente “Art Brut” aspettandosi che i fan rispondano con “Top of the pops”, senza che ciò in realtà  avvenga.

Come detto, i suoi compagni di band gli apparecchiano la tavola in modo ideale, facendo perfettamente tutto ciò che devono per metterlo nelle condizioni migliori di esprimersi. Da parte sua, Eddie sguazza perfettamente nelle sue acque predilette e mette in mostra l’intensità  vocale, l’espressività  e il carisma dei bei tempi. Ogni singola canzone investe e trascina gli spettatori, che si fanno prendere volentieri da questa corrente irresistibile, resa ancora più coinvolgente dall’abilità  nel mettere in scena i siparietti sempre al momento giusto, con i tempi perfetti e con assoluta spontaneità . è difficile dire se Eddie sia più un performer smaliziato o l’amico che, con la sua semplice presenza, ti rivolta la serata come un guanto. Probabilmente è tutte e due le cose, ed è per questo che non si può non amarlo.

La setlist dà  il giusto spazio sia al disco nuovo che all’illustre passato, e dal punto di vista di quest’ultimo, privilegia giustamente i primi due dischi, ma non trascura del tutto nemmeno i due successivi. Rispetto a quella scritta prima del concerto, ci sono dei cambi nell’ordine delle canzoni e nelle canzoni stesse, quando uno spettatore richiede “Direct Hit” e viene accontentato. Tutto questo dimostra che gli Art Brut sono una band che segue il cuore e il flow del concerto, con grande abilità  nel capire in corso d’opera quando una canzone possa ottenere il massimo effetto e quando è il caso di accontentare richieste inattese. E questo è un altro motivo della perfetta riuscita della serata, assieme agli altri specificati sopra. Speriamo di non doverli aspettare ancora ttuti questi anni, perchè di band e di concerti così ce n’è sempre un gran bisogno.

Photo Credit: Paul Gascoigne, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons