Prince è stato un indomabile stakanovista. La voglia incontenibile di produrre musica a ogni ora del giorno lo portava a trascorrere intere settimane rinchiuso nei suoi studios privati a Paisley Park, l’imponente magione che si fece costruire intorno alla metà  degli anni ’80 a poca distanza da Minneapolis. Un tempio personale dove sono stati registrati alcuni grandi classici ““ dallo psichedelico “Around The World In A Day” al monumentale doppio “Sign O’ The Times” ““ ma anche un numero imprecisato di provini, demo e brani finiti sui quali continua ad aleggiare un fitto alone di mistero.

Giustamente gli eredi dello sfortunato genio del pop, scomparso a soli cinquantasette anni il 21 aprile 2016, non hanno alcuna intenzione di mantenere ancora a lungo il segreto sul preziosissimo patrimonio custodito nel leggendario caveau princiano. E così, dopo averci dato la possibilità  di mettere le mani sullo splendido “Piano and a Microphone 1983” appena nove mesi fa, oggi ci deliziano con le ben quindici tracce inedite di “Originals”, una raccolta di canzoni scritte da Prince per colleghi e amici.

Un’occasione da non perdere per ascoltare il legittimo autore riappropriarsi di successi stratosferici quali “Manic Monday” e “Nothing Compares 2 U”, ma soprattutto per andare a riscoprire qualche piccola chicca rimasta a prendere polvere sugli scaffali per decenni. Tra queste, le più interessanti sono senza ombra di dubbio quelle che l’artista successivamente noto come un simbolo impronunciabile realizzò per i suoi innumerevoli cortigiani del Minnesota. Una combriccola di band e solisti dalla fortuna quanto mai effimera cui Prince affidò il non semplice compito di riscaldare il gelido nord-ovest statunitense a suon di funk e pop ad altissimo tasso danzereccio.

In “Originals” il bollente groove sintetico tipico del Minneapolis Sound torna a brillare nella sua forma più naturale e poco rifinita: vi sono rappresentati i The Time di Morris Day (“Jungle Love” e “Gigolos Get Lonely Too”), le Apollonia 6 (“Sex Shooter”), i Mazarati (“100 MPH”), i The Family della fidanzata storica Susannah Melvoin (furono loro i primi a interpretare, in chiave soul, quella “Nothing Compares 2 U” poi resa immortale da una giovanissima Sinèad O’Connor) e le svanitissime Taja Sevelle e Jill Jones, cui Prince regalò rispettivamente “Wouldn’t You Love To Love Me?” e la tenerissima “Baby, You’re A Trip”.

Quest’ultima è da annoverare tra le sorprese più gradite del disco, insieme alle altrettanto soffici ballate “Noon Rendezvous” (nettamente migliore rispetto alla versione di Sheila E.), “Love”…Thy Will Be Done” (pubblicata nel 1991 da Martika, oggi ricordata quasi esclusivamente per quella “Toy Soldiers” campionata anni fa da Eminem) e “You’re My Love”. Su quest’ultima è meglio soffermarsi un po’ più a lungo, perchè è probabilmente uno degli episodi di maggior valore tra quelli inclusi in “Originals” ““ ma non per motivi di effettiva qualità .

Scritta nel 1986 per la star del country Kenny Rogers, è una sdolcinatezza talmente svenevole e stucchevole da far impallidire persino un campione di leziosità  del calibro di Michael Bolton. Evidentemente lo stesso Prince non ne andava particolarmente fiero, visto che la firmò nascondendosi dietro l’improbabile pseudonimo di Joey Coco; anche il modo in cui la canta, con un timbro grave che non gli appartiene, sembra sottolineare una certa distanza.

D’altronde, si sa quanto il nostro preferisse la compagnia femminile: qui ve ne sono alcune innegabili prove, sotto forma di canzoni poi donate amorevolmente alle bellissime ex Sheila E. (“Holly Rock”, “The Glamorous Life” e “Dear Michaelangelo”, tutte eccellenti) e Vanity (“Make-Up”, una geniale perla electropop avanti di almeno due decenni). Uno scrigno di tesori che, pur aggiungendo molto poco a una carriera durata quasi quarant’anni, serve a ricordarci per l’ennesima volta che davvero nulla è paragonabile al talento di Prince.

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