di KOC

“Hammamet” è Il film di Gianni Amelio sugli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi, l’ex premier italiano, morto da latitante in Tunisia, dopo essere stato condannato a dieci anni di reclusione, in seguito alle vicende di tangentopoli. La pellicola ha contribuito a riaprire clamorosamente il dibattito sull’opportunità  o meno di rivalutare la discussa figura del leader socialista. Eppure, Amelio fa di tutto per tenersi lontano da qualsivoglia giudizio. Preferisce concentrarsi sull’aspetto umano della vicenda, di un uomo che si sentiva ingiustamente accusato, che stava male fisicamente, logorato dai pensieri e che viveva ancora peggio la lontananza dall’Italia e dalla sua unica vera passione, la politica.

Sarò caustico. A mio parere, Amelio ha fallito. In tanti siamo accorsi nelle sale per vedere la prova del protagonista, Pierfrancesco Favino, truccato alla perfezione e somigliante in tutto e per tutto a Craxi: nei tratti somatici, nei gesti e ““ in modo inquietante ““ nella voce. Favino è un attore poliedrico ed eccellente, nell’accezione hollywoodiana del termine: tutto ciò che interpreta, diventa oro. Peccato che stavolta l’oro sia rimasto attaccato unicamente alla sua persona. Il film, infatti, è di una noia tremenda: lento, mal recitato dagli attori più giovani, con una fotografia da anni ottanta e – colpa secondo me più grave – totalmente fuori fuoco.

Capisco l’idea di Amelio di tralasciare il focus politico: dal punto di vista storico, vent’anni sono pochissimi per fare un’analisi imparziale e completa di una vicenda controversa come quella di tangentopoli e della fine della prima repubblica; ma se decidi di puntare tutto sull’introspezione, devi riuscire a creare una connessione empatica con il pubblico. Altrimenti, se vuoi rimanere a distanza, devi essere un genio che riesce a comunicare per sottrazione, attraverso i silenzi, le inquadrature fisse, le riprese impressioniste.
Ogni riferimento a Sorrentino è puramente voluto, ovviamente. Amelio non riesce a fare nessuna delle due cose.

Si parte dalla ricostruzione dell’ultimo congresso socialista. Interessante l’idea di cambiare i nomi a tutti i personaggi, anche per invitare lo spettatore a indovinare chi sia il misterioso politico che fa visita ad Hammamet. Fine. Il film si trascina, lentissimo. Giustamente, Favino ““ come era del resto Craxi ““ attraversa altero e chiuso in se stesso tutto il tempo della narrazione, ma quasi niente attorno a lui funziona. La figlia (Livia Rossi) ha solamente un’espressione, perennemente contrita. Il personaggio di fantasia, Fausto (Luca Filippi), figlio di un dirigente suicida del partito, raggiunge Hammamet apparentemente per vendicarsi, ma anche lui assume subito una faccia catatonica, che non cambierà  più fino alla fine. Soprattutto, non si capisce la funzione della sua figura nel film. L’amante dell’ex premier (Claudia Gerini) compare e scompare ad Hammamet in un battito di ciglia. Chissà  perchè e a cosa serviva mostrarla.

Non è uno spoiler se vi dico che alla fine il protagonista muore, ma il nostro entusiasmo per questo film evento era già  defunto dopo nemmeno un’ora di proiezione.