D’Angelo, al secolo Michael Eugene Archer, ha trasformato la scarsissima prolificità  in una vera e propria arte. In quasi trent’anni di carriera, ha prodotto solamente tre album. Una miseria, direte voi. Dal punto di vista quantitativo, non c’è davvero alcun dubbio: viaggia sulla media di un disco al decennio. Per quanto riguarda la qualità , invece, è necessario aprire un discorso completamente diverso.

Con il trascorrere del tempo, la musica contenuta in “Brown Sugar” (1995), “Voodoo” (2000) e “Black Messiah” (2014) è diventata un riferimento imprescindibile per decine e decine di artisti diversi. Dall’hip hop al soul, passando ancora per il funk, l’R&B e persino alcune forme più contaminate di jazz: non esiste praticamente alcun genere nato dalla grandissima tradizione afro-americana che non abbia tratto giovamento dall’esempio di D’Angelo.

Un innovatore, certo; ma anche un talentuosissimo discepolo, sempre attento nel seguire – ma forse sarebbe meglio dire approfondire ““ le lezioni impartite da maestri del calibro di James Brown, Jimi Hendrix, Miles Davis, Al Green, George Clinton, Stevie Wonder e Prince. Un’eredità  di un certo peso, non c’è che dire. Eppure, andando a riascoltare le tredici canzoni del monumentale “Voodoo”, è quasi impossibile non percepire costantemente l’ombra dei giganti poc’anzi citati.

All’appello, infatti, non mancano sfumature psichedeliche (Hendrix e il Prince di “Parade”), acide divagazioni strumentali (il Miles Davis di “Bitches Brew”), stravaganze funk (il padrino Brown e l’universo P-Funk di clintoniana memoria) e naturalmente tanti richiami ai classici del soul, soprattutto negli episodi più soft. Forse fu l’aria dei leggendari Electric Lady Studios di New York a convincere il cantante e polistrumentista di Richmond a trovare il coraggio giusto per prendere tutti questi elementi, fonderli tra loro e tirarci fuori qualcosa di fresco.

“Voodoo” spalancò le porte del nuovo millennio con la forza di un sound originale e rivoluzionario, senza per questo rinunciare a quei tratti di familiarità  (per non dire accessibilità ) che pure gli consentirono di raggiungere la prima posizione della Billboard 200 già  a distanza di sette giorni dall’uscita. è un’opera che cammina in perfetto equilibrio sul sottile filo che divide la vecchia soul music dal cosiddetto neo soul. C’è il calore tipico delle registrazioni analogiche ma anche l’estrema modernità  dei sample di scuola hip hop; ci sono le melodie di facile presa ma anche le strutture complesse e disarticolate tipiche dei brani creati senza un piano preciso, magari sbucati fuori nel corso di lunghissime jam session.

Il suono di D’Angelo fluisce quasi senza regole, privo di costrizioni e imposizioni. Il pulsare urbano e notturno di “Playa Playa” e “Devil’s Pie” guarda al lato più “fumoso” dell’hip hop, fungendo da eccellente antipasto ai featuring di Method Man e Redman in “Left And Right”. Con “The Line” l’R&B si fa scheletrico e minimal, nonostante l’abbondante impiego di voci in multitraccia.

Proprio quest’ultima è una delle caratteristiche principali di “Voodoo” nella sua interezza: il lavoro di D’Angelo dietro al microfono viene spesso e volentieri moltiplicato all’infinito, fino a dar vita a una sorta di incomprensibile muro di parole. Potrebbe sembrare un difetto, ma non lo è assolutamente: è questo straniante effetto “corale” a dare un tocco di classe al raffinatissimo soul di “Send It On”, “One Mo’Gin” e “The Root”. Tanto per restare nel campo di gustose finezze, vi consiglio di andarvi a ripescare le strabilianti atmosfere latin jazz di “Spanish Joint” e la rilassantissima ballad “Feel Like Makin’ Love”, impreziosita da interventi di piano elettrico e fiati.

I motivi per cui il ventesimo compleanno di questo disco merita di essere celebrato a dovere, come ormai vi sarete resi conto, sono davvero moltissimi. Potrei continuare parlandovi dello straordinario feeling tra il bassista Pino Palladino (il sostituto di John Entwistle negli Who) e il batterista Ahmir “Questlove” Thompson (The Roots), forse una delle migliori sezioni ritmiche di sempre; o della commovente bellezza di “Africa” e “Untitled (How Does It Feel)”, il singolone che si interrompe improvvisamente sul più bello. Ma mai come in questo caso credo sia meglio starsene zitti e lasciare che sia la musica a trasmetterci qualcosa. D’altronde, il silenzio vale più di mille parole. Se prolungato, come spesso avviene nel caso di D’Angelo, può anche tramutarsi in oro puro.

D’Angelo ““ “Voodoo”
Data di pubblicazione: 25 gennaio 2000
Tracce: 13
Lunghezza: 78:54
Etichetta: Cheeba Sound, Virgin
Produttori: D’Angelo, DJ Premier, Raphael Saadiq, Dominique Trenier

Tracklist:
1. Playa Playa
2. Devil’s Pie
3. Left & Right
4. The Line
5. Send It On
6. Chicken Grease
7. One Mo’Gin
8. The Root
9. Spanish Joint
10. Feel Like Makin’ Love
11. Greatdayndamornin’/Booty
12. Untitled (How Does It Feel)
13. Africa