Il quarto album di Torres “” all’anagrafe Mackenzie Scott “” è il suo lavoro più diretto. “Voglio che le persone sappiano esattamente di cosa parla” [1], ha detto presentando il disco. è il suo primo album in cui tutte le canzoni parlano d’amore, e non in senso astratto: i testi descrivono la sua travagliata relazione con Jenna Gribbon, artista che ha dipinto il ritratto che troviamo sulla copertina.
Scott “” ventinovenne residente a New York ma cresciuta a Macon, Georgia dopo essere stata adottata da una famiglia di cristiani battisti “” ha fatto recentemente parlare di sè anche per essere stata scaricata da 4AD, che aveva pubblicato il precedente “Three Futures”. Licenziata da una delle più prestigiose label indipendenti non per dissidi personali, o per mancanza di valore artistico, ma per non aver venduto abbastanza dischi (sic). Superata la delusione, ha trovato ora casa presso Merge e ha deciso di autoprodurre questo album.
Se dietro la scelta dell’autoproduzione pare ci siano stati fattori economici, ci sono anche altri risvolti: “Questo è il primo disco dove sono entrata in studio sapendo esattamente come avrebbe suonato”[2], ha dichiarato. Il risultato non è certo deludente: synth che sembrano chitarre, chitarre che sembrano synth, fuzz e ritmiche ipercompresse che ricordano (fermandosi un attimo prima) il coraggio produttivo di St. Vincent per “Masseduction” e le sonorità massimaliste adottate da Sharon Van Etten nel suo ultimo LP.
La produzione molto sicura, come anche la scelta di scrivere queste canzoni di getto durante gli sviluppi della sua relazione con Gribbon, donano una concretezza tattile ai brani, una forza ruvida e autentica. In “Dressing America” c’è un ritornello memorabile: “Tendo a dormire con i miei stivali addosso / In caso dovessi galoppare su acque scure”; la metafora si costruisce un verso dopo l’altro, appoggiata su un crescendo ritmico che sembra raggiungere il picco e per due volte lo rilancia più in alto: “Fino da te / Senza preavviso”.
“Gracious Day” è un altro picco, una ballata basata su un arpeggio di chitarra acustica, eppure con una abrasività simile al resto del disco: si sentono le dita sulle corde, la voce contralto è sforzata in un falsetto rotto dai respiri. “è un po’ più complicato che semplicemente aver riconquistato una ragazza con una canzone”[2], ha detto, ma se la sua fidanzata si fosse fatta convincere da questo brano non potremmo certo darle torto.
A volte Torres rischia però di confondere la sua onestà e schiettezza con la qualità del risultato. Se la sua capacità di scrittura è indubbia, solo alcune volte i tasselli vanno tutti al posto giusto, mentre spesso questo diario in presa diretta non riesce a trasmettere all’ascoltatore la forza delle emozioni che vuole descrivere. “Two of Everything” è un trattato ambizioso sulla gelosia, privo di mediazione come un flusso di coscienza, ma che non trova le intuizioni liriche e melodiche per graffiare davvero. La conclusiva “Silver Tongue” (un’espressione che indica una persona che sa essere particolarmente persuasiva) è talmente sicura di sè da risultare ambivalente.
“Silver Tongue” era un disco che Torres doveva scrivere, per lo stesso motivo per il quale la paura descritta in “Good Scare” sembra necessaria per arrivare alla serenità di “Gracious Day”. Ma quello che manca in questo album è proprio una maggiore astrazione e capacità di analisi, che avevamo osservato nei suoi precedenti lavori. Si percepiscono molte cose ribollire sotto la superficie, ma alla fine di questo viaggio introspettivo ci resta la sensazione di avere scoperto poco su Mackenzie Scott, e ancora meno sulla sua partner. Ma tanto quanto l’ascolto del disco ci lascia confusi sulla loro relazione, tanto ci conferma che l’urgenza di Torres di rompere le sue barriere compositive è tutt’altro che esaurita.
Photo Credit: Michael Lavine