Quando voglio bene ad un disco, ad un artista, aspetto e temporeggio sempre prima di parlarne in un modo che possa sembrare sensato, in questo caso parlare del disco di Colombre è facilissimo e difficilissimo allo stesso tempo.
Il suo “Corallo” è una perla d’acqua, è la conchiglia che regge la Venere di Botticelli, ma al centro del dipinto questa volta c’è la poetica di Colombre che si interfaccia con un momento di quarantena, di silenzi e astinenze.
Tutto allora prende un senso diverso, in fondo l’arte è anche nella sua capacità di essere relazionata con un contesto, con le nostre idee sulla socialità .
Quel “Non ti Prendo la Mano”, in cui si perde la cognizione del futuro, è un monito romantico a perdersi in un orizzonte che suona come poesia disillusa di Emily Bronthe che nel 1846 aveva scritto un qualcosa che suonava più o meno così: “Vain are the thousand creeds/That move men’s hearts, unutterably vain“, c’è in “Corallo” la forza di vivere un atto di fede nella relazionalità che ci porta a pensare che “Tutto cambierà su di noi”.
La forza del cantautorato di Colombre è basata, in questo lavoro ancora di più, su una capacità di rendere semplice ogni pensiero complesso. Molto spesso ascoltiamo dischi in cui c’è povertà , un’iniquità totale nel rapporto tra pensiero e canzone.
Il disco questa volta è meno concentrato al dare potenza ai suoni, tutto infatti è sviluppato in modo semplice, molto legato all’evoluzione del suono della chitarra. Tutto è dunque concentrato sull’analisi di una relazione, il passaggio di “Crudele” è un’ulteriore prova: “Amore mio, so di aver sbagliato, non dirmi addio, lo so che sono stato insensibile, crudele, certamente inutile parlarti da qui“.
La cura nell’intrattenere i rapporti è allora il fulcro di “Corallo” che è però un’opera che mette in mostra la sua componente più forte quando si mette in rapporto con tutto quello che stiamo vivendo. L’oggi è difficile da raccontare e metabolizzare per noi, per questo fortunatamente ci sono i dischi che ci aiutano a raccogliere ciò che accade nel nostro spazio, nel nostro tempo.
Chissà se dopo qualche mese di isolamento, vedremo in questo lavoro la forza poetica per ri-affermare l’amore o semplicemente ce lo troveremo davanti come un reperto archeologico in cui tutto è troppo distante per essere vissuto e compreso.
Per non perdere l’abitudine, nel dubbio, io lo riascolto.