Mancavano da tempo i Perturbazione, mancavano oltremodo quei Perturbazione che a lungo seppero esprimere il meglio del pop italiano, quello davvero indipendente.

Li ritroviamo di nuovo ispirati, freschi e passionali, alle prese con un nuovo album che fa dell’amore un caposaldo, ma narrato nella maniera giusta, come ci avevano abituato sin dai loro albori.

Con “(Dis)amore” tornano a puntare in alto, realizzando un disco intenso e pregno di significati, pur nella consueta leggerezza formale che li ha contraddistinti negli episodi migliori. E che consentiva loro di essere malinconici e di trattare temi anche dolorosi senza apparire pesanti. Insomma, come solo la migliore musica d’autore riesce a fare.

Intendiamoci, a me che li seguo e apprezzo dagli inizi del loro percorso non erano dispiaciuti nemmeno gli ultimi due album, quelli della (presunta) svolta commerciale, post-sbornia sanremese. Quello del Festival fu un vero spartiacque nella loro carriera, che portò al gruppo fortune e successi, così come sconquassi emotivi, ma ormai rappresenta il passato.

I Perturbazione di Tommaso Cerasuolo, dei fratelli Rossano e Cristiano Lo Mele e di Alex Baracco guardano avanti e finalmente si sono privati del peso sulle spalle di replicare i riscontri della hit “L’unica”, che era sembrato un po’ gravare sulla riuscita generale del precedente “Le storie che ci raccontiamo”.

Hanno fatto sospirare i loro fans, visto che l’album era atteso ben prima – d’altronde le circostanze che stiamo vivendo hanno evidentemente ribaltato priorità  e prospettive -, ma ormai i tempi sono maturi e così, dopo le ottime premesse dei singoli anticipatori (che già  lasciavano presagire la natura del progetto e una ritrovata vena narrativa e compositiva) possiamo godere dei frutti di tanta fatica.

Non fosse talvolta usata a sproposito, potremmo ancora una volta tirare in ballo l’espressione concept – album nell’approcciarsi a queste ventitre (!) nuove canzoni. Perchè di fatto quelle che ci raccontano i ragazzi di Rivoli sono le molteplici fasi di un legame fra due persone, dai primi timidi approcci alle felici rivelazioni, dall’amore che si compie totalizzante alla perdita della passione, dai malintesi ai lunghi silenzi fino al classico bivio cui a volte necessariamente ci si imbatte, quando viene posto il quesito se continuare la relazione o troncarla tenendoci stretti almeno le cose belle e i ricordi vividi in lontananza.

In “(Dis)amore” c’è tutto questo, ed è bello seguire traccia per traccia l’evolversi dei sentimenti del protagonista e farci coinvolgere sin dalla romantica e sognante apertura di “Le spalle nell’abbraccio”, per non dire della liberatoria “Le regole dell’attrazione” o della dolce “Ti stavo lontano” (dal delicato e sublime arrangiamento). E’ un disco che musicalmente viaggia di pari passo con le fasi del rapporto d’amore, e che vive anch’esso di paradossi e di alti e bassi quasi ad antropomorfizzarsi.

Essendo un disco lungo però, la qualità  generale dei brani, pur mediamente alta, ne risente a tratti.

Ci sono infatti episodi più intensi   come “Il ragù” (piuttosto dolce-amara la situazione descritta), la presa di posizione di “Non farlo”, la consapevole mestizia di “Silenzio” e la splendida “Conta su di me” che anticipa in scaletta “Le nostre canzoni”,   in grado questa sì di competere con le migliori mai realizzate dal gruppo, e a fianco brani meno riusciti come “Regime alimentare” e “Taxi taxi” ma comunque funzionali anch’essi alla storia.

Si arriva così tutto d’un fiato fino alla conclusiva “Le assenze”, con la sensazione di aver visto tanti episodi di una fiction incentrata su un amore eterno, legato però da un filo invisibile che può spezzarsi davanti agli eventi della vita.

I Perturbazione già  in passato avevano dato alle stampe un album lungo e compatto come “Del nostro tempo rubato”, che seguiva i loro lavori più importanti fino a quel momento e che all’epoca era parso una risposta al mercato discografico (nella fattispecie erano rimasti “scottati” dopo l’esperienza major).

“(Dis)amore”, pur partendo da presupposti diversi, ci mostra allo stesso modo degli artisti che si muovono nuovamente liberi e felici di essere semplicemente se’ stessi, senza particolari ansie da prestazione.

Quella ben messa in evidenzia, tra le pieghe di questo disco, è certamente la cifra stilistica con cui si esprimono al meglio. Bentornati ragazzi!