James Dean Bradfield non è mai stato una persona con poco da dire.

Schierato politicamente fin dagli esordi, è sempre riuscito con la sua musica (e quella dei suoi Manic Street Preachers) a trasmettere messaggi di denuncia contro l’estabilshment, specie se orientato verso la destra  più violenta, intollerante ed oppressiva.

Con questo “Even in Exile” il cantante e chitarrista gallese rende omaggio a Và­ctor Lidio Jara, musicista ed attivista cileno brutalmente ucciso dagli uomini di Pinochet nel 1973 non prima di averlo schernito, torturato, martoriato.

Ci pensa l’amico drammaturgo Patrick Jones, fratello di Nicky Wire dei Manics, ai testi, riadattando componimenti del sudamericano: James ci mette la voce e la chitarra. Ed il cuore.

Un concept album curato, non certo la prima dedica (e condanna al regime del dittatore cileno) a Jara, omaggiato nel tempo, e tra gli altri,  anche dai nostri Guccini e Stefano Giaccone, ma un’elegia doverosa, sentita ed appassionata. E per fatti e persone del genere, azioni di questo tipo non saranno mai abbastanza.

A livello sonoro, Bradfield pennella scenari vividi affidandosi anche al prog più viscerale (su tutte, “Seeking The Room with Three Windows”, “Last Song”) come a milieu latineggianti (“Under The Mimosa Tree”, l’evocativa “La Partida” con i suoi aromi western) spesso lasciando che sia la musica a dipingere, laddove di parole se ne dicono spesso sin troppe, con queste che sovente finiscono per svanire nel vuoto della dimenticanza, o dell’indifferenza. Non lesina, il gallese, di elencare le ispirazioni musicali a cui ha attinto, da Johnny Marr ai Pink Floyd, passando per Husker D༠ e Rush e pure per i “nostri” Cantori Moderni di Alessandroni.

Mai, e mai più, dovrebbero accadere fatti come quelli legati alla morte di un Jara: ma finchè sarà  necessario non dimenticare, un James Dean Bradfield non sarà  mai di troppo.