Da 2013, anno della loro formazione, ad oggi la rock band dell’Exeter dei Black Foxxes ha contribuito a dare lustro all’universo musicale dell’indie-rock con ben tre album, dal debutto “post-grunge” di “I’m Not Well” del 2016, al sophomore a tinte shoegaze di “Reià°i” del 2018, fino all’odierno album omonimo, uscito lo scorso 30 ottobre, che raccoglie davvero il meglio del background acquisito, miscelando il tutto in un perfetto contesto fatto di sopraffini e accurati arrangiamenti.

Gli scarsi tre minuti della traccia d’apertura introducono d’impatto le incalzanti urla del frontman Mark Holley il quale non si risparmia minimamente fino all’intro quasi metal della successiva “Badlands”, nove minuti di potenti chitarre scandite dalla rabbia dello stesso Holley, unico membro rimanente rispetto alla line-up originaria. Infatti, la sezione ritmica composta dal basso di Tristan Jane ed dalla batteria di Anthony Thornton è stata sostituita rispettivamente da Jack Henley e da Finn Mclean.

I ficcanti e affilati riff di chitarra dettano il leitmotiv del nuovo lavoro che si alternano tra malinconici risvolti ballads – come in “Drug Holiday”, nella bellissima “Panic” con il suo finale psichedelico ma anche nelle suggestive venature blueseggianti di “Swim” – e rumorosi e ossessivi episodi come in “Pacific” dove l’alternanza tra calma apparente e furiosa tempesta conducono al minutaggio importante (nove minuti e mezzo) della closing track “The Diving Bell”, vera e propria chicca del long playing.

Il territorio, ca va sans dire, si dipana in un pattern nineties laddove trovano conforto anche episodi dark come nell’oscura “My Skin Is”, probabilmente la migliore del disco e dove le chitarre acide sorreggono un cantato stile Brian Molko, e nella catchy, si fa per dire, “Jungle Skies” pronta per incastrarsi nella sfera mainstream con la sua rilassante e appagante melodia.

Il terzo album omonimo dei britannici Black Foxxes  si rivela maturo, solido e sorprendente che inevitabilmente conduce ad un ascolto necessario.

Photo credit: Connor Laws, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons