di Beatrice Dusi e Riccardo Cavrioli

“Songbook n.1” (order), l’album d’esordio di Bruce and Steve è una raccolta di storie. La loro musica è evocativa, sembra trasportarci in terre lontane fatte di isole, vasti prati verdi e luoghi dove l’immaginazione non ha confini. Con il loro genere musicale, il Literary Folk, ci fanno apprezzare anche testi della letteratura, da Edgard Allan Poe a Joseph Conrad ma anche alla grande poesia di Alda Merini. Insomma un viaggio musicale, in mezzo ai libri, come a loro piace raccontarci. Fin dal primo brano “Alone” all’ultimo “Heart of darkness” ci rendiamo conto di ascoltare qualcosa di nuovo e di intrigante, passaggi più folk come “Swamp Angel” a quelli più rock come “King of clouds and tears” tutti amalgamati dalla melodia delle parole e delle strofe recitate.
Un album consigliato per navigare per i mari della fantasia anche standosene comodi sulla propria poltrona, ma siate però pronti a cavalcare l’onda quando inizia il giro di chitarra!
Ci piaceva scambiare due chiacchiere con i ragazzi.

Ciao ragazzi, ovviamente non si può che partire dalla vostra cover, più che indicativa di quello che andremo ad ascoltare nel vostro “folk letterario”. Ma non vi fa un certo effetto essere “osservati” da questi “pesi massimi” della letteratura?
Ciao! Grazie per questa domanda. Siamo consapevoli che la cover di un album, soprattutto di uno d’esordio, è il primo biglietto da visita, il primo sguardo con l’ascoltatore che sta per connettersi con noi. Per questo abbiamo voluto promettergli di sentirsi come noi ci sentiamo di fronte all’Arte, come ci siamo sentiti ad esempio la prima volta che siamo entrati nel magazzino de “Lo scaffale Perturbante”, il luogo interpretato nel bello scatto di Stefano ed Elia dove Luca, il proprietario, ci ha ospitati.
Sarà  che entrambi siamo accaniti lettori, viviamo in teatro, lavoriamo nel mondo della musica classica, per noi l’arte è il grande trait d’union in grado di valicare ogni sorte di limite, anche quello del nascere e del morire. Nel momento in cui leggiamo l’opera di un grande artista, ne condividiamo tutto, l’esperienza spirituale come l’umanità , la fatica come l’ispirazione; esseri umani che comunicano tra di loro superando il grande limite di sempre: la morte.
Nel nostro piccolo, nel momento in cui la nostra musica nasce dal contatto con chi ci ha preceduto, è questo che viviamo. è una sorta di convivenza, davvero come se esistessimo nello stesso tempo nella stessa stanza, davvero come se il tempo non avesse confini.
Questo posto magico, la libreria, conserva tutti questi piccoli scrigni che contengono al loro interno una parte di qualcuno, un po’ come gli Horcrux di Harry Potter, ma senza bisogno di uccidere o tagliarsi a pezzi l’anima per farlo.
E la nostra musica è al servizio per unire nella stessa stanza le anime di chi ha raccontato quella storia, di noi che l’abbiamo vestita di musica, e di chiunque si unisca ad ascoltarne lo scorrere.

Folk ed epicità . A prima vista potrebbero sembrare mondi distanti: voi invece li avvicinate e li amalgamate. Com’è nata quest’idea?
Mi piacerebbe fosse un’idea nostra, ma credo siano indissolubilmente legati dall’alba dei tempi: dal momento in cui un sumero, girando di città  in città , ha cantato le gesta di Gilgamesh o Omero nello stesso modo le gesta degli Achei, proseguendo per tutti gli artisti che nelle piazze hanno cantato le gesta di Orlando e di Lancillotto, o anche con meno pudore quelle di uno Zanni o di Bertoldo, o di Till Eulenspiegel e altri eroi della gente.
La narrazione, che sia epica o di altro genere, nasce con la musica, e la musica nasce folk. Poi la musica si affina, respira di vita propria ed ha con le storie un rapporto che ogni tanto si raffredda, ma torna così spesso ad ardere di passione. La nostra musica brucia di questa passione, e guardando alle origini del raccontare storie, non può che avere una radice folk.

Il lockdown come elemento d’incontro che ha fatto scattare la scintilla del progetto. La musica è davvero arma curativa e grimaldello per scardinare momenti bui. Che ne pensate?
Assolutamente d’accordo, e quanto ha fatto male non permettere alla musica di respirare durante questo periodo, o peggio di svilirsi con clownerie di bassissimo livello ai balconi.
Il nostro progetto nasceva come idea prima della pandemia, ovviamente nell’arresto forzato che le nostre carriere di musicisti classici hanno dovuto subire ha avuto modo di trovare spazio e perciò di accelerare la sua emersione.

Con la vostra musica viaggiate e ci fate viaggiare molto, dalla Grecia, all’Irlanda, all’America, c’è un luogo (immaginario o fisico) da dove prendete più ispirazione?
Il luogo da cui traiamo ispirazione è proprio quello della copertina, una stanza allagata di libri e di dischi dove i mondi da navigare sono infiniti come l’universo in espansione.
Da qui andiamo a trovare tutte le nostre fonti di ispirazione. Con i suoni viaggiamo in Inghilterra, con i Pink Floyd, i Beatles, Cat Stevens, Genesis e Laura Marling; negli Stati Uniti, con Woody Guthrie, John Fogerty, Bob Dylan, Leonard Cohen, Neil Morse e soprattutto Paul Simon; nell’Europa continentale con i grandi autori della classica, in particolare la liederistica di Franz Schubert. Con i testi viaggiamo davvero ovunque e in qualunque tempo. In copertina abbiamo “invitato” in particolare Hermann Melville, Edgar Allan Poe e Dylan Thomas, tutti e tre di area anglosassone, che ci hanno particolarmente coinvolto con la loro opera.
Approfittiamo per precisare che la scelta della lingua inglese per i testi non è da prendersi come un rifiuto della nostra meravigliosa lingua italiana -forse la più musicale di tutte- ma è proprio una volontà  di usare una koinè, che estenda al massimo la possibilità  di comunicazione.

Leggevo che c’è in previsione un live in streaming, sbaglio?
No, non sbagli, è in cantiere con Fucina Machiavelli una miniserie di appuntamenti tra cui figura anche un live di B&S, ma non possiamo ancora sbilanciarci con precisione. Speriamo con l’estate e il prossimo anno di recuperare in live ““ anche e soprattutto con il pubblico in presenza.