Torna a pungere Gordon Sumner e lo fa, ovviamente, alla sua maniera confezionando con il suo stile dieci tracce che diventano tredici nella versione deluxe, dove trova spazio anche una calda versione di “(Sittin’ On) The Dock of the Bay” di Otis Redding.
Arrivato a quota quindici da solista, questo “The Bridge” segue di fatto “57th & 9th” del 2018, dopo l’intermezzo non proprio memorabile arrivato con l’album collaborativo “44/876” con Shaggy, e con la seconda reinterpretazione dei suoi brani arrivata l’anno successivo con “My Songs”.
Scritto e registrato durante il lockdown presso gli studi casalinghi, il polistrumentista di Wallsend si è circondato di una nutrita schiera di musicisti amici – tra cui i batteristi Josh Freese e Manu Katchè, Dominic Miller alla chitarra, Martin Kierszenbaum alle tastiere, Branford Marsalis al sassofono, Fred Renaudin ai synth ed ai quali si sono aggiunte le coriste Melissa Musique, Gene Noble, Jo Lawry e Laila Biali – con i quali ha portato avanti un percorso sviluppato attorno ad una forma canzone dal piglio easy listening che già con la traccia d’apertura “Rushing Water”, mostra sin da subito i suoi “pungiglioni” pop-rock.
Il biglietto da visita presentato in apertura non lesina freschezza nemmeno nelle due tracce successive dapprima con la catchy “If It’s Love” e, poi, con la morbida “The Book of Numbers” che sprigiona coinvolgenti fiati nel refrain. E se nel mezzo troviamo una seducente “For Her Love” la quale può tradursi pacificamente in una “Shape On My Heart” 2.0, il resto dell’album può vantare differenti influenze che si propongono con disinvoltura con il folk celtico di “The Hills on the Border” e di “Captain Bateman” (con le sue tinte jazz dove racconta la storia di una figlia di un carceriere che visita un ufficiale di marina tenuto prigioniero) e con le pizzicate acustiche della titletrack.
Il neo settantenne britannico non mostra invecchiamento alcuno e, sebbene questo nuovo disco non propone slanci che facciano gridare al miracolo, racchiude al suo interno episodi che identificano il tipico tocco di un musicista incredibile, udibili nell’electro-blues psichedelico di “Loving You” ma pure nella complessa “Harmony Road” e, soprattutto, in “The Bells Of St. Thomas”, la migliore del full-length, un brano lussuoso ed avvolgente dall’ambientazione cupa e sussurrata.
“The Bridge” alterna momenti piacevoli ed altri dal giusto spessore mentre nel mezzo regala episodi di un buon pop, senza pretese alcune ma comunque contornato dalla voce ed interpretazione di un artista monstre come Sting, ben lontano dall’appendere gli strumenti al chiodo. Anzi. A questo punto, ad maiora!
Credit Foto: Eric Ryan Anderson