Se escludiamo compilation e colonne sonore, sono trascorsi ben dieci anni dalla pubblicazione di un album a firma Air. Davvero troppo tempo! Fortunatamente i fan del leggendario duo francese possono accontentarsi dei lavori solisti di Jean-Benoà®t Dunckel, che nei meandri della musica elettronica riesce a muoversi con disinvoltura anche senza i consigli dell’amico Nicolas Godin.

La sua terza opera si intitola “Carbon” e raccoglie nove tracce di elegantissimo ambient/dream pop impreziosite da sonorità  spaziali, sfumature chillout, atmosfere vintage e tonnellate di melodie a tratti malinconiche, a tratti zuccherine.

Cosa possiamo chiedere di meglio? Certo, qualche sorpresa in più non ci sarebbe dispiaciuta, perchè la formula è ormai rodata (un eufemismo per non dire che è sempre la stessa) e i margini per inventarsi qualcosa di nuovo – o quanto meno incisivo ““ sono ormai sottilissimi. Ma JB Dunckel, che oltre a essere un maestro dei synth è un fine musicista a tutto tondo, ci mette il cuore e il gusto necessari a regalarci l’ennesima prova di classe in costante bilico tra le meraviglie dell’era digitale e le certezze inamovibili del vecchio mondo analogico.

Il disco funziona particolarmente bene nelle numerosissime parentesi strumentali o semi-strumentali (“Spark”, “Corporate Sunset”, “Shogun”, “Cristal Mind” e “Naturalis Principia Musica”) e, in generale, scorre via in maniera assai piacevole tra placide ballate elettroniche (“Space”, “Sex Ufo”), ampio uso di vocoder (“Zombie Park”) e inquietudini dai toni futuristici (la robotica “Dare”, unico pezzo “movimentato” dell’album).

Da un tipo esperto come JB Dunckel non possiamo aspettarci scivoloni o cadute di stile, e infatti il bel “Carbon” non rappresenta in alcun modo una delusione. Anche se aggiunge davvero poco alla carriera pluridecennale di un artista che, prima o poi, vorremmo ritrovare a capo del suo progetto principale. Gli Air, naturalmente.