Conosco Marco Scaramuzza, per tutti solo Scaramuzza ma per me (e quale onore!) solo Marco, da tempo sufficiente a farmi essere non poco contento, oggi, di potergli fare qualche domanda su queste colonne; sì, perchè Marco è già  stato protagonista in passato dei miei “setacci” musicali, è finito più volte tra i nomi importanti segnalati nei bollettini della nostra rivista, ha confermato a più riprese di essere un talento in velocissima crescita, alla ricerca di stimoli che attraversano l’arte senza conoscere discipline vincolanti o linguaggi prediletti.

Marco fa canzoni che raccontano, mescola la dimensione del cantautore a quella dell’attore di parola, ricostruisce mondi che vivono nella drammaturgia musicale di un cantautorato che affonda le radici nella tradizione, ma stende i rami verso orizzonti che sanno di internazionale, anche grazie al tocco speciale di uno come Novecento, leader dei Denoise e produttore ispirato e ispirante.

C’è in “Misericordia”, il disco di debutto di Scaramuzza dopo l’esordio con “Gli Invisibili”, una traccia di umanità  che a volta vien da pensare sia in estinzione, e che invece finisce con il ritrovarsi e il raccogliersi attorno ad album luminosi come questo, luci nella notte che aiutano a guidare il singolo e la comunità  qualche passo oltre la siepe, senza paura dell’oscurità .

Insomma, potevo non bermi un simbolico succo di frutta con Marco, e non fargli qualche domanda su quanto sia importante il lavoro che fa? Ecco, non potevo certo privarmi di tutto questo. Sopratutto, per quel “succo di frutta” vagamente alcolico che ci siamo concessi seppur a distanza, brindando insieme ad un disco che rimarrà  nella storia personale di Marco, ma di certo anche nella mia. Emotivamente, umanamente, artisticamente.

Ciao Marco, è un piacere poterti ritrovare qui, e soprattutto farlo in occasione di una pubblicazione alla quale mi sento di dire che tengo quasi quanto ci tieni tu: abbiamo visto crescere “Misericordia” insieme, e ora poterlo raccontare è una gioia non da poco. Ricordi da dove sei partito, quando ci siamo conosciuti? Io lo ricordo bene, ma vorrei farlo raccontare a te”…
Averti avuto vicino (Manuel) durante questo percorso è stato fondamentale sia dal punto di vista artistico e soprattutto, lo sai bene, dal punto di vista umano. “Misericordia” è sicuramente anche tuo. Ricordo di aver ascoltato dei brani di Apice nel 2020 e di essermene innamorato immediatamente. Il testo e la sua naturalezza nel comunicare senza voler piacere per forza mi hanno subito catturato. Ho così deciso di scriverti (Sì, Apice è anche Manuel, mio caro amico) per complimentarmi e avere qualche consiglio, avevo appena iniziato a camminare in questo complesso mondo musicale. Da lì è nata una vera amicizia e una preziosa collaborazione.

“Gli Invisibili” mi colpì subito, sin da primo ascolto: un disco compatto, coeso e sincero; magari “spurio” per qualche scelta artistica non ancora troppo “a fuoco”, ma onesto e autentico. Credi che “Misericordia” abbia la medesima autenticità  di quei tuoi primi lavori?
Sì, l’autenticità  e l’onestà  nel comunicare sono valori che ho appreso dal teatro, faranno per sempre parte del mio percorso artistico. Canto e scrivo per questo, penso ci sia anche in “Misericordia”.

Sono stato a casa tua a Venezia, a Misericordia, e questo ci serve per dire ai lettori che il titolo del tuo album richiama proprio al quartiere in cui vivi”… Perchè hai scelto questo titolo? Un po’ come Guccini ha fatto in “Via Paolo Fabbri 43″”…
Ho scelto questo titolo perchè trasferirmi in questo sestiere di Venezia è stato un grande cambiamento e una grande prova di coraggio. Sento di aver iniziato un nuovo percorso artistico. Inoltre la parola misericordia significa anche il perdono dai peccati, penso riassuma bene il focus del mio disco.

Tra i brani del disco, mi farebbe piacere partire dal raccontare “Lettera”, perchè cela una visione del mondo personale e vera che credo meriti di essere messa a fuoco”… come nasce la canzone?
Mi trovavo in Colombia, dove ho vissuto per tre mesi, ero in un periodo di grande introspezione. Mi trovavo sotto gli occhi una terra vera e colorata, quasi disarmante, cercavo di capire perchè fosse così autentica.
Ragionavo sulla potenza delle relazioni e la difficoltà  di coltivarle nel tempo.
“Lettera è un insieme di punti di domanda accompagnati da un arpeggio incalzante, è un brano che vuole lasciare la porta aperta.

“Vagabondo” è invece un pianto sordo, un lamento che si alza dalle strade buie di una vita ridotta all’angolo. In fondo, lo slancio filantropico di “Gli Invisibili” qui sembra riprendersi tutto lo spazio che merita, e raggiungere forme ancora più compatto e coese d’espressione poetica”…
Sì, la poetica dell’invisibilità  mi ha sempre colpito molto, in questa società  che corre a mille all’ora e ci riempie di performance riuscite bene (vedi social, pubblicità , talent ecc..) è molto semplice svalutarci e sentirci invisibili.
“Vagabondo” prende come punto di riferimento la persona che vive per strada e che agli occhi della società  quasi non è umano, come può sentirsi quella persona? Perchè giudichiamo la sua storia senza saperla?

Ti conosco un po’, e so che che tu, quel tasto del “Reset”, non credo lo premeresti mai. Anzi, mi vien da dire che il tuo modo per non avere rimorsi sia proprio scrivere canzoni. E’ così? Raccontaci un po’ qual’è il tuo rapporto con la scrittura”…
Sì, mi conosci bene. Non lo schiaccerei mai quel pulsante, questo brano vuole essere una piccola istigazione. Penso che ogni ostacolo sia necessario ai fini di evoluzione.
La scrittura per me è una modalità  di comunicazione necessaria per la mia cura in primis e semplicemente mi dona l’opportunità  di poter esprimere ciò che a voce non sempre riesco a dire.

Abbiamo anche registrato insieme un paio di live session niente male, ad essere giusto un po’ “presuntuosi”. Ecco, cosa significa per te la dimensione “live”? Credi che una canzone si trasformi, suonata dal vivo?
Abbiamo registrato già  tre live session, sì! La dimensione live per me è la vera essenza della musica, vengo dal percorso teatrale e mi piace sentire come un brano possa contaminarsi e mutare del tempo collaborando anche con altri artisti. Live è tutto più libero e naturale.

Caro Marco, in bocca al lupo per il tuo percorso. E spero riusciremo a vederci presto, a questo punto, anche “live””…
Che possa vivere almeno cent’anni quel lupo, ci vediamo presto live!