L’opinione che “Pablo Honey” sia l’episodio più debole e insipido della discografia dei Radiohead è diffusissima, avallata anche da buona parte dei fan più sfegatati del quintetto di Oxford. Una delle accuse mosse più frequentemente contro l’esordio di Thom Yorke e compagni riguarda la sostanziale mancanza di personalità  dei brani, ancora troppo acerbi per dare anche solo una minima idea dell’incredibile evoluzione sonora che si sarebbe compiuta di lì a pochissimi anni. Come ricordato dal chitarrista Ed O’Brien in un’intervista rilasciata al magazine britannico “Select”, all’epoca la band era “immersa fino al collo” nel grunge e nell’alternative rock statunitense; non sorprendetevi, quindi, se ascoltando per la prima volta le dodici tracce di “Pablo Honey” troverete segni evidenti dell’influenza di pesi massimi come Pixies, R.E.M., Nirvana e Dinosaur Jr. Riprendendo da questi l’efficace commistione di chitarre ad alto volume e melodie orecchiabili, i Radiohead si presentarono al mondo nella maniera più prudente possibile, cercando da subito di centrare il bersaglio della hit radiofonica in grado di assicurargli senza troppe difficoltà  un futuro, se non radioso, quanto meno tranquillo.

La scelta del singolo apripista cadde su quella “Creep” che, nonostante l’iniziale flop e il testo deprimente che le costò l’esclusione dalle playlist di BBC Radio One, è ancora oggi la canzone più nota dei Radiohead. Scritta sul finire degli anni Ottanta da un giovanissimo Thom Yorke, “Creep” è il lamento sofferto di un disadattato che non riesce a trovare il suo posto nel mondo, innamorato di una ragazza che lo ignora completamente. Un inno al mal di vivere che, in piena epoca grunge, toccò nel profondo milioni di ascoltatori alla ricerca di una nuova “Smells Like Teen Spirit”; e proprio come avvenne ai Nirvana con il brano che apriva “Nevermind”, ben presto anche i Radiohead si stufarono della loro hit. Per non farsi schiacciare dal successo clamoroso di “Creep”, la band cominciò lentamente a eliminarla dalle scalette dei concerti, riproponendola sempre più di rado e solo per accontentare il pubblico. Probabilmente è stata proprio la paura di restare ancorati per sempre a una singola canzone ““ di andare quindi a rimpolpare le fila già  affollatissime delle one-hit wonder ““ a spingere i Radiohead a tirare fuori il coraggio necessario per diventare una delle realtà  musicali più imprevedibili e innovative di sempre.

Se messo a confronto con il resto della loro discografia, “Pablo Honey” risulta essere il lavoro più convenzionale dei Radiohead, incentrato su una forma-canzone pop rock abbastanza tradizionale per i canoni alternative della prima metà  degli anni Novanta. Non mancano, però, alcuni timidissimi indizi di una rivoluzione ancora in fase embrionale: in “You” e “Blow Out” le chitarre di Jonny Greenwood e di Ed O’Brien si intrecciano tra effetti e muri di feedback, gettando le basi sulle quali si svilupperanno i momenti più fragorosi di “The Bends”; la voce di Thom Yorke è già  intensa ed espressiva, in grado da sola di rendere memorabili il folk acustico di “Thinking About You” e la ballata elettrica “Lurgee”. Altrove affiorano tracce di power pop (“Stop Whispering”, “Anyone Can Play Guitar”), leggere sfumature shoegaze (“Prove Yourself”, “I Can’t”) e persino una fugace incursione nel punk rock (“How Do You?”), ma è decisamente poco per elevare “Pablo Honey” a qualcosa di più di un semplice buon debutto: un album immaturo e “troppo naà¯f”, per ammissione dello stesso Yorke.

Un parere assai diverso rispetto a quello di Jonny Greenwood: il chitarrista non ha mai amato “Creep” ““ arrivando addirittura a cercare di sabotare il brano durante le registrazioni, improvvisando le rumorose ghost notes che fanno da ponte tra la quiete delle strofe e la carica dei ritornelli ““ ma da sempre crede che il disco sia stato in qualche modo sottovalutato dalla critica e dai fan. Se non ci si limita a un’analisi superficiale del lavoro, è difficile dargli torto: a distanza di 30 anni dall’uscita, la sua freschezza e semplicità  rappresentano ancora una boccata d’ossigeno in un oceano di musica a tratti fin troppo cervellotica.

Con “Pablo Honey” i Radiohead hanno invece dato l’illusione di essere una band come tante, seppur solida e di indubbio talento. In seguito, abbandonando ogni tipo di certezza stabilita con l’esordio, hanno preferito smantellare e ricomporre in maniera sempre diversa la loro immagine di gruppo rock, fino a “sparire completamente” nei labirinti della sperimentazione di “OK Computer”, “Kid A” e “In Rainbows”.

Data di pubblicazione:  22  febbraio 1993
Tracce: 12
Lunghezza: 42:11
Etichetta: Parlophone
Produttori: Sean Slade, Paul Q. Kolderie

1. You
2. Creep
3. How Do You?
4. Stop Whispering
5. Thinking About You
6. Anyone Can Play Guitar
7. Ripcord
8. Vegetable
9. Prove Yourself
10. I Can’t
11. Lurgee
12. Blow Out