A decenni di distanza dalla sua pubblicazione l’album d’esordio degli Skid Row resta a tutt’oggi un ottimo esempio di hard rock, tanto ruvido quanto melodico, fatto con passione, gusto e mestiere. Uno scrigno prezioso di ricordi per gli amanti del genere – anche se, a mio modestissimo parere, un po’ acerbo dal punto di vista creativo e qualitativamente inferiore al suo eccellente successore, il fortunatissimo “Slave To The Grind”, che nel 1991 catapultò Sebastian Bach e compagni ai vertici della classifica americana.

Con queste osservazioni non voglio di certo sminuire il valore di un’opera che, forte di almeno tre storiche hit, continua a esercitare un certo fascino su un pubblico vasto ed eterogeneo. Un vero e proprio successo intergenerazionale, seppur limitato al contesto hard rock. Non solo i grandi, ma anche i “piccini” ricordano e apprezzano canzoni come “Youth Gone Wild”, “18 And Life” e soprattutto “I Remember You”, un’intensa ballatona impreziosita dalla sopraffina interpretazione di un giovanissimo Bach all’apice della sua forma vocale.

Guidati verso la fama da Jon Bon Jovi, amico d’infanzia del chitarrista Dave “The Snake” Sabo, e intrappolati in un’era di passaggio per il rock mainstream, poiché costretti a distinguersi dalla vacuità dell’hair metal e a sopravvivere a quella rivoluzione grunge che, difatti, spazzò via tutti gli artisti nati e cresciuti nella seconda metà degli anni ’80, gli Skid Row riuscirono a lasciare un piccolo ma tangibile segno nella storia con almeno due lavori di pregevole fattura. Il primo, prodotto dal tedesco Michael Wagener (noto per le sue frequenti collaborazioni con Dokken e Alice Cooper, oltre che per il missaggio di “Master Of Puppets” dei Metallica), si impose lentamente all’attenzione internazionale ma, sfruttando anche la scia aperta dai Guns N’ Roses di “Appetite For Destruction”, arrivò a conquistare milioni e milioni di fan in tutto il mondo.

In un’epoca dominata dalla superficialità e dallo spirito edonistico, gli Skid Row ebbero il coraggio di rimettere al centro del discorso l’hard rock nella sua forma più sincera e meno “incipriata”. Le canzoni contenute nel disco, seppur estremamente orecchiabili, non sembrano essere state scritte con l’obiettivo unico di invadere l’airplay. Il messaggio che passa è il seguente: va bene essere radio-friendly, ma non forziamo la mano. C’è quindi un grande equilibrio tra la necessità di confezionare un prodotto spendibile dal punto di vista commerciale e il desiderio di non mancare di rispetto alla grande tradizione del rock più ruspante e genuino.

Col rischio di passare per un inguaribile romantico, potrei definire questo lavoro una sorta di lettera d’amore all’apparente semplicità di un genere musicale dove è sempre importante mantenere alto il livello d’attenzione dell’ascoltatore con riff, assoli, ritornelli e linee melodiche in grado di coinvolgere, eccitare, emozionare. Un inno per una gioventù sì selvaggia, ma ben consapevole dei propri mezzi. Gli Skid Row del 1989 erano consci del fatto che non bastava la sola passione per ritagliarsi uno spazio nell’agguerrita scena hard rock: ci riuscirono con undici canzoni frutto di talento, tecnica, lussuria e voglia di divertirsi e far divertire.

Data di pubblicazione: 24 gennaio 1989
Tracce: 11
Lunghezza: 39:32
Etichetta: Atlantic
Produttore: Michael Wagener
Tracklist:

Big Guns
Sweet Little Sister
Can’t Stand The Heartache
Piece Of Me
18 And Life
Rattlesnake Shake
Youth Gone Wild
Here I Am
Makin’ A Mess
I Remember You
Midnight/Tornado