Sophie Ellis-Bextor ci porta a fare un giro dell’Asia orientale con le dodici canzoni di “Hana”, la sua settima fatica in studio. Un album dalla gestazione lenta e faticosa, i cui primi spunti sono iniziati a germogliare nel corso di una vacanza in Giappone nel febbraio 2020. Un mese prima della pandemia che ha fermato il mondo intero.

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In realtà la cantante britannica, almeno per quanto riguarda la produzione di materiale originale, era in pausa da molto prima della comparsa del COVID. La sua opera precedente, “Familia”, risale infatti al 2016. I sette anni di sosta si sentono eccome nel quadro generale di “Hana”. Non c’è nulla di brutto in questo disco, ma non c’è neanche nulla di indimenticabile.

La voce dolce e sensuale di Sophie Ellis-Bextor si sposa alla perfezione con le note garbate di un synth-pop maturo e raffinato. Sullo sfondo, ombre di dance e disco music dal gusto a tratti malinconico, a tratti solare (vedi “Lost In The Sunshine”, luminosa sin dal titolo). La voglia di estate e leggerezza c’è, il ritmo pure, ma è la melodia a ritagliarsi il ruolo da protagonista.

Il desiderio di porsi una spanna sopra al mainstream è apprezzabile. D’altronde, stiamo parlando di una veterana che non deve più dimostrare niente a nessuno. Ma il genere proposto dall’artista inglese – chiamatelo indie pop o synth-pop, o più facilmente pop – richiede hook, motivetti incalzanti e ritornelli orecchiabili. Qualcosa in grado di far venire voglia di ascoltare e riascoltare a ripetizione, fino allo schifo.

E qui di tutto questo c’è poco o nulla. La classe e l’eleganza vanno bene fino a un certo punto. Di primo impatto, “Hana” è un album quasi impeccabile. Ma solo nella forma. La sostanza dove sta? Non pervenuta. In parole povere: a questo disco manca la ciccia.

Non aspettatevi quindi un nuovo singolone alla “Murder On The Dancefloor”. Accontentatevi di una serie di canzoni gradevoli, anche se in alcuni frangenti tendenti un po’ troppo al drammatico (“A Thousand Orchids”) e allo smielato (“He’s A Dreamer”).