Foto: Stefan Brending

In una giornata di sole, Milano si è ritrovata nel giro di poche ore due grandi realtà troppo rock’n’roll per essere vere. E se una ha brillato, l’altra ha faticato a far sentire la propria voce. Signori e signori, The Black Keys e Liam Gallagher.

Quest’anno, gli I-Days hanno tirato fuori una line-up niente male. Questo sabato d’inizio luglio, si è pensato bene di presentare nella stessa serata una band classic rock dal grande passato ed un icona intramontabile del brit rock. Sullo stesso palco dell’Ippodromo La Mura, si sono susseguiti prima i Black Keys di Dan Auerbach e Patrick Carney e successivamente, un po’ come se fosse uno scherzo, l’ex Oasis Liam Gallagher.

L’apertura di questi due giganti della musica è stata affidata ai portentosi Nothing But Thieves che, col loro set, sono riusciti a convincere il pubblico presente e sicuramente quello futuro in vista della prossima data, proprio a Milano, in promozione al loro nuovo album dal titolo “Dead Club City”.

Con un ritardo alquanto prevedibile, ecco che sale sul palco il duo delle hit rock’n’roll come “Lonely Boy”, “Tighten Up” o “Gold On The Ceiling”. Dan è veramente in forma, saluta il pubblico, si presenta assieme a Patrick e con la sua cazzutissima chitarra elettrica in mano fa partire i primi accordi di “I Got Mine”. Già da questa iconica canzone si capirà come andrà il loro set. Gli arrangiamenti saranno diversi, ridisegnati per questo lungo tour che stanno affrontando, e la sperimentazione colma di virtuosismo all’ordine di ogni canzone.

Ed infatti così va per la calma e acuta di voce “Everlasting Light”, o le successive “Next Girl” e “Fever”. Dan è un animale da palcoscenico, un emblema della serietà del fare il musicista mischiata ad una bravura senza precedenti che maneggia la tecnica delle tecniche. In un set di poco più di un’ora, i Black Keys insegnano al mondo come fare rock. Quello vero, quello nato dalle sponde dell’America più desolata.

“Weight Of Love” è la prova della grandiosità di una band che ancora fa ottima musica, riarrangiata (ed accorciata) per l’occasione. Tra i brani finali, “Little Black Submarines” scuote il pubblico che non vorrebbe vederli andare via. Non si capisce se l’audio sia stato abbassato di proposito o per volontà della band, ma sta di fatto che con volume basso o alto questi ragazzi (accompagnati da un fortissimo ensemble di musicisti) sa come tenere un palco.

Fa infatti un po’ specie vedere dopo poco l’ex Oasis, il buon vecchio Liam Gallagher. Il suo set, di pochissimo più di un’ora, fa specie soprattutto se comparato a quello della band che l’ha preceduto. Ma chi cazzo se ne frega, lui è Liam e fa quello che gli pare.

Con un video auto-celebrativo ad introdurre il suo concerto, eccolo che arriva con il suo bel parka collo alto con cappuccio, shorts e occhiali da sole. Accompagnato nell’entrata da “I Am The Resurrection” degli Stone Roses, i cori vittoriosi del Manchester City e l’iconica “Fuckin’ In The Bushes” degli Oasis, l’icona del brit rock inizia con una fantasmagorica “Morning Glory”. Il significato è chiaro, e lo dirà lui stesso: in questa setlist non trovatevi solo canzoni mie, da solista, ma anche quelle del gruppo.

E ti pare che non lo sappiamo? La gente è venuta principalmente per questo. Infatti, su 15 canzoni, 8 sono solo degli Oasis. Ed è durante queste che tira fuori tutta l’energia, fisicamente statica, nella sua voce. Perché per il resto, forse dato da alcuni problemi al volume del suo microfono, il ragazzone è spento e ha problemi alla voce. Una cosa che è capitata spesso, ma che comunque fa male vedere.

La sua presenza scenica è molto monotona, e questo lo sappiamo benissimo. Detto ciò, riesce bene ad incitare le masse sia durante le sue canzoni come “Why Me? Why Not.” o la bellissima “Once”, sia durante quelle dell’ex band come per esempio “Stand By Me” o “Slide Away” o “Cigarettes And Alcohol”.

Il problema sta proprio qua. La presenza di brani degli Oasis, per i quali tutti i fan sono accorsi velocemente a sentire. Vengono fuori sempre in secondo piano quelli della sua carriera solista, ed è ovviamente un peccato. Lui lo sa, ma se ne frega totalmente il cazzo. E infatti che fa? Finisce il suo set veramente breve con l’oramai iconica canzone da falò “Wonderwall” ed una ridotta versione (ma finalmente non acustica) di “Champagne Supernova”.

La giornata di I-Days finisce qui. Alle 23.10 tutti iniziano a muoversi verso le uscite. Durante il percorso parte il coro di “Don’t Look Back In Anger”, richiesta durante il set di Liam da qualcuno del pubblico. Mi dispiace amici, quella la fa solo Noel.