“Big Bunny” l’esordio sulla lunga distanza di Alaska Reid uscito nel 2020 aveva già fatto conoscere le qualità della cantautrice americana che da tempo si divide tra il Montana dove è nata e Los Angeles dove è iniziata la sua carriera, ad appena quattordici anni. Il folk – pop venato di country e indie-rock di quel disco subisce un’evoluzione non scontata con il secondo album “Disenchanter”.

Credit: Audrey Hall

Fondamentale il rapporto con A.G. Cook, collaboratore e partner nella vita nonché fondatore dell’etichetta PC Music, che con i suoi sintetizzatori trasforma lo stile di Alaska Reid in un alt – pop dalle mille facce. La chitarra sia acustica che elettrica resta lo strumento preferito come dimostra “Seeds” ma brano dopo brano emergono nuove sfumature del suo mountain – pop (definizione coniata dalla stessa Alaska per definire la propria musica).

La grinta nostalgica di “French Fries”, “She Wonders” con synth, drum machine, ritornello sbarazzino e accattivante, l’intensità glaciale e malinconica di “Leftover” che raggiunge il culmine in “Arctic Heart” rivelano lati inediti della personalità di una Alaska Reid che non ha paura di mettersi in gioco, di sperimentare in “Palomino” ed evocare sentimenti complessi senza perdere quel gusto per i dettagli più piccoli e minuti del quotidiano che rappresentano una caratteristica fondamentale della sua scrittura.

“Always” e “Airship” tornano invece all’indie – rock (The Breeders e Dinosaur Jr. hanno lungamente influenzato Alaska segnandone la formazione) e fanno di “Disenchanter” un disco dall’indole variegata, non rivoluzionario ma musicalmente godibile, senza grossi punti deboli. Trentadue minuti che tra natura e riferimenti letterari (“Back To This” e Graham Greene) riescono ad essere misteriosi e coinvolgenti.