Credit: Bryan Ledgard CC BY 2.0 via Wikimedia Commons

Lascia sgomenti la notizia della morte di Sinéad O’Connor, a cinquantasei anni. Artista dal talento genuino, ribelle e poco incline ai compromessi, è diventata un simbolo per le donne irlandesi (e non solo) grazie alle sue battaglie, al suo essere controcorrente, al non rassegnarsi mai. Spiace soprattutto che a volte venga ricordata solo per i gesti plateali (la foto di Giovanni Paolo II strappata in TV) e non per la bellezza della sua musica. Dieci album, c’è qualcosa di rilevante in ognuno, un requiem per celebrare quanto fatto in vita.

BONUS TRACK: Song To The Siren
2010, da “Music of Ireland: Welcome Home”

Tra le mille versioni di questa canzone c’è anche quella registrata da Sinéad O’Connor che fa suo un brano difficile da interpretare con la giusta attitudine. Inutile dire che in mano alla musicista irlandese non c’è rischio di sbagliare in una versione melodica, fedele all’originale ma ricca di sfumature.

10. The Singing Bird
2002, da “Sean-Nós Nua”

Continuiamo con quest’album del 2002 che recuperava e proponeva tredici brani tradizionali con nuovi arrangiamenti, un percorso che Sinéad O’Connor aveva intrapreso a tratti, collaborando con i The Chieftains ad esempio. “The Singing Bird” mette in risalto la voce, vero punto focale di un pezzo che come tutto il disco simboleggia il rapporto di amore / odio tra Sinéad e l’Irlanda.

9. Dark I Am Yet Lovely
2007, da “Theology”

La ricerca della spiritualità è sempre stata una costante della vita di Sinéad O’Connor che non ha mai fatto mistero dei suoi problemi con la religione preordinata e costituita. Quest’album è un classico esempio del suo voler andare controcorrente cercando la propria strada con brani come “Dark I Am Yet Lovely” di indubbia e melodica eleganza.

8. War
2005, da “Throw Down Your Arms”

Il classico di Bob Marley tratto da “Throw Down Your Arms”, un album registrato da Sly & Robbie capace di conquistarsi un posto nelle classifiche reggae. Un brano che Sinéad O’Connor sentiva molto vicino alla propria sensibilità facendone una versione fedele all’originale ma allo stesso tempo  personale. Rimasta tristemente famosa per l’inglorioso trattamento (urla, fischi) durante la performance al concerto in onore di Bob Dylan .

7. Hold Back The Night
2000, da “Faith and Courage”

Il titolo dell’abum dice già tutto o almeno fa capire lo stato della Sinéad O’Connor d’inizio millennio, capace di creare brani come questo: intensi, dolcissimi ed evocativi che nulla hanno da invidiare a titoli ben più famosi e citati. “Faith and Courage” un album da riscoprire.

6. Very Far From Home
2012, da “How About I Be Me (And You Be You)?”

Uno dei brani più onesti e significativi della Sinéad O’Connor più recente che in questa fulgida ballata mette tutta se stessa. Un crescendo leggero e costante che sottolineava tutta la sofferenza umana della musicista irlandese, che ancora una volta provava a rimettersi in gioco con un album dalle mille facce.

5. James Brown
2014, da “I’m Not Bossy, I’m the Boss”

Quello che resterà l’ultimo album di Sinéad O’Connor, che si circondava di numerosi collaboratori creando un sound eclettico, avventuroso, prendendosi anche qualche rischio. “James Brown” realizzata insieme a Seun Kuti è uno di quei rischi: ritmata, funky, dimostra ampiamente che la creatività non era andata perduta.

4. Black Coffee
1992, da “Am I Not Your Girl?”

Rifacimenti di standard jazz, si è cimentata anche con questa avventura Sinéad O’Connor nel 1992, prendendo in contropiede chi aveva amato e apprezzato “I Do Not Want What I Haven’t Got” appena due anni prima. L’eleganza con cui viene trattata “Black Coffee” di Paul Francis Webster e Sonny Burke dimostra quanto Sinéad fosse allergica a farsi incasellare.

3. In This Heart
1994, da “Universal Mother”

Sensazioni che ricordano a tratti “Song To The Siren”, un clima quasi gospel quello di “In This Heart”. Triste, romantica, spettrale, incredibilmente intensa. Senza grandi arrangiamenti né fanfare riesce a emozionare con la forza della voce e di puri sentimenti.

2. Nothing Compares 2 You
1990, da “I Do Not Want What I Haven’t Got”

Amata, odiata, controversa, quasi rinnegata dalla stessa Sinéad O’Connor che ha più volte accusato Prince – autore del brano – di averla maltrattata. Impossibile però non inserirla per quello che ha rappresentato per la carriera e per il successo di “I Do Not Want What I Haven’t Got”, finendo per oscurare brani altrettanto validi come “The Emperor’s New Clothes”, “You Cause as Much Sorrow”, “Black Boys On Mopeds” e “The Last Day of Our Acquaintance”.

1. Troy
1987, da “The Lion and the Cobra”

Incredibile come “Troy” non abbia perso neppure un filo d’intensità negli anni passati dalla pubblicazione di “The Lion and the Cobra”, album d’esordio in cui Sinéad O’Connor si comportava già da veterana. Un video che lascia il segno, semplice e ribelle allo stesso tempo. Il testo poi ascoltato oggi acquista nuovi, commoventi significati. “And I will return / The Phoenix from the flame / I have learned / I will rise“.