Il concept album è ormai qualcosa a cui non può scampare più nessuno: stavolta è toccato ai Nothing But Thieves, band inglese alternative conosciuta soprattutto per il disco del 2017 “Broken Machine”. La “Dead Club City” che descrivono in questo album è una città distopica, che si presenta come un club esclusivo per i suoi soci. Viene presentata da subito con l’apripista “Welcome to the DCC”, che pone le basi dance ed elettronica che emergono prepotenti nell’album. Una città scintillante, a tratti un club degli anni Ottanta, dove tutti possono vivere una vita perfetta, dove c’è tutto quello di cui si ha bisogno. 

Credits: Jack Bridgeland

Diverse le influenze su “Dead Club City”: c’è tanto dei The Strokes in “Tomorrow Is Closed”, o i falsetti in “City Haunts” alla Matt Bellamy. A queste si accompagna un grande senso di nostalgia, che assume un tono intimista in “Green Eyes :: Siena”, e oscilla tra vecchio e nuovo in “Foreign Language”. Quest’ultimo in particolare presenta una sorta di orchestra di synth alla base, prende sonorità già sentite anni e anni fa e tenta di ripresentarle in chiave più fresca, diversa da ciò che si sente di solito. 

Come si sarà capito i Nothing But Thieves hanno avuto un’immensa voglia di sperimentare con questo disco: si veda ad esempio il lavoro fatto con “Green Eyes :: Siena” dal punto di vista del testo soprattutto – musicalmente non presenta particolari rivoluzioni, anzi. Di canzoni d’amore ce ne sono tante, forse anche troppe, e scrivere qualcosa di diverso da qualcosa di già sentito risulta sempre più difficile. In questo caso, però, Joe Langridge-Brown (chitarrista del gruppo) ha affermato che scrivere d’amore è stata una vera e propria sfida per lui, al punto che ha deciso di seguire un corso di scrittura di Jay Rayner, scrittore (e critico culinario!) che ha spiegato come sia possibile scrivere mille e mille volte su uno stesso soggetto senza mai ripetersi o risultare banali. I risultati si vedono? Sì, decisamente. Non sarà la canzone d’amore del secolo, ma è sicuramente in stile Nothing But Thieves

Chiude il disco “Pop The Balloon”, che va a sovvertire tutto ciò che ci aveva presentato “Welcome to the DCC”: bisogna scappare da quella realtà fittizia, anzi distruggerla del tutto. Un finale caotico, chiassoso, che si contrappone a tutti i brani conclusivi emozionali che i Nothing But Thieves hanno messo negli album precedenti. “Pop The Balloon” raccoglie tutte le storie raccontate finora e pone loro un finale-non finale, non dice nello specifico cosa succede se non che è necessario porre fine a questa città incantata. Suona come l’inizio di una rivoluzione, chiude perfettamente un cerchio fatto di illusioni e tanta, tanta disco. 

Nel complesso, “Dead Club City” è un disco musicalmente non male affatto, tra esplosioni di chitarra e synth; forse resta ancora eclissato dal disco precedente “Moral Panic” e rende l’identità dei Nothing But Thieves ancora più confusa, sempre più lontana dalle sue origini indie rock, ma ci fa sicuramente incuriosire riguardo cosa ci verrà presentato in futuro.