Finalmente l’attesa è finita, e il nuovo disco dell’eterno folletto dell’elettronica pop il Newyorkese Mr. Moby è arrivato a destinazione, il disco che, con la collaborazione di Mark “Spike” Stent e un parterre luccicante di ospiti, è pronto ad arrembare classifiche e dancefloor sin dalla prima nota agganciata. “Innocents”, questo il work, è la continua ricerca da parte dell’artista del suo dentro umano, il carotaggio mai finito di riprendere quell’innocenza che questo schivo, timidissimo trasformista dell’elettronica, ricerca da anni attraverso manipolazioni e permanenze ai confini della notte e che ““ quasi indifferente ai venti milioni di dischi venduti in tutto il globo ““ ancora lo rende vulnerabile quanto ammaliante.

Un artista sempre giovane, un nerd occhialuto che ha saputo riconsiderare il suo sound al tempo del computer e che tuttora ne condiziona le inconfutabili potenzialità . E ora ““ con questo popolo di amici che si porta dietro nella tracklist ““ mette sul piano di una dance a bassa fedeltà , suoni, campionamenti e anima umana, tangibile oltre il suono, un disco fatto per amare e dare un senso all’esistenza, un po’ melanconico, a tratti solitario, ma con quello sforzo d’insieme a superare qualsiasi difficoltà  latente e ordinaria nelle cose straordinarie; con questo undicesimo album, Moby, raggiunge ““ con una fragilità  d’animo sempre sull’angolo della sua poetica mai convenzionale – dei momenti culmine di una ispirazione in chiaroscuro, ottima e con riflessi Ottantiani, ma sempre con l’occhio puntato su questa sconfinata umanità  sofferente che riempie il rotondo del mondo.

Da tempo si è accasato a Los Angeles, ma la sua Mela urbana non riesce a scordarla, ama le sue distrazioni e le forti tinte, le convulse arterie e le autunnali cascate di foglie, tracce e ballate color marrone che tra sguardi all’indietro e piccoli lampi avangarde prendono possesso di tutto l’ascolto possibile, dalle cinematiche frosty tra Brian Eno e spazi eterei “Going wrong”, “Everyting that rises”, allo spacey cosmique stampo Morcheeba “The last day” con una sovrumana Skylar Frey oppure ““ saltando a piè pari ““ il mid-gospel tentato dalla partecipazione di Wayne Coyne “The perfect life” e un Lanegan in vena looner (ma no) che dentro la capienza di “The lonely night” si lascia intorpidire e beatizzare da un sensoriale stato d’anima rapito. Ritornano gli Ottanta nel finale con “The dogs” e di nuovo quella nebbiolina intrigante che fa yo-yo tra noi e un Moby convincente, sotto ogni aspetto, sopra ogni sospetto di amarcord.

Un bel ritorno questo del “maghetto Moby“, davvero!