Parecchio ispirata, Mitski ritorna con un questo suo nuovo LP appena dopo un anno e mezzo dall’uscita del suo sesto full-length, “Laurel Hell“.

Credit: Ebru Yildiz

La musicista nippo-statunitense di stanza a NYC lo ha registrato con il suo produttore di lunga data Patrick Hyland tra Nashville e Los Angeles insieme a un’orchestra diretta da Drew Erickson e a un coro di ben diciassette elementi arrangiato dalla stessa Mitsuki Laycock.

Dopo aver creato un disco synth-pop pieno di elettronica e con riferimenti agli anni ’80, la trentaduenne nativa della prefettura di Mie ha completamente svoltato con questo nuovo lavoro cercando, invece, suoni decisamente più ricchi e soprattutto raffinati, mentre l’amore, in un modo o nell’altro, rimane il tema centrale dell’album: qui il ritmo è lento, non c’è nessuna fretta di correre, anzi la calma diventa una virtù fondamentale e le fa sicuramente guadagnare classe e qualità.

Nell’iniziale “Bug Like An Angel”, che parte proprio da un insetto finito contro il suo vetro per poi paragonare l’alcool alla famiglia, Mitski utilizza una strumentazione minimale, ma la magia delle sue atmosfere folk ricorda immediatamente quelle altrettanto spettacolari di Angel Olsen: in aggiunta, poco più avanti, e più volte nel corso dei tre minuti e mezzo della canzone, fa la sua apparizione un coro vero e proprio, che aggiunge un non so che di spirituale e angelico al brano.

La bellezza pervade tutto il disco anche nel caso dei brani più corti come “When Memories Snow”, messo proprio al centro: nemmeno due minuti, ma un continuo crescere orchestrale che rasenta la perfezione con archi, fiati e un drumming piuttosto energico, mentre la voce della giapponese sa toccare il cuore di chi ascolta e disegna sensazioni cinematrofiche e il coro immette ancora un tocco spirituale.

Poco prima “The Deal” è un altro momento molto caldo, in cui la Miyawaki racconta di una passeggiata notturna: percussioni, organo e archi si alternato a momenti più minimali, mentre le atmosfere disegnate dai vocals di Mitski continuano a trasmettere emozioni, particolarmente evidenziate attraverso a una batteria potente e veloce negli ultimi secondi del pezzo.

Tornando a parlare di amore, non possiamo evitare di citare la languida ballata “My Love Mine All Mine” che intenzionalmente cerca di riportarci indietro di qualche decennio con quella sua malinconia, ma allo stesso tempo con una incredibile raffinatezza senza tempo.

Più avanti in “Star” la musicista di stanza a New York City usa synth e organo per creare altre atmosfere maestose, aggiungendo qualcosa di angelico, ma anche di assolutamente emotivo.

Ognuna di queste undici tracce lascia un segno grande o piccolo – ognuna a suo modo – nel cuore di chi ascolta, mentre ci porta eleganza, ricchezza e una qualità decisamente elevata: “The Land Is Inhospitable And So Are We”, secondo la nostra opinione, è destinato a finire molto in alto in tante classifiche di fine d’anno.